Gli incontri tra Mori e Ciancimino: la versione di don Vito

vito-ciancimino[1]Premessa: questo documento è stranoto e la sua pubblicazione non costituisce in alcun modo un tentativo di “depistaggio”. E’ il famoso papello “I carabinieri” sequestrato durante la perquisizione all’Addaura nel 2005 e quindi a sorpresa. Consta di tredici pagine interamente manoscritte da Don Vito a matita, come era solito fare, ed è stato copiato dal verbale del 17/03/1993 redatto a Rebibbia. Si può idealmente dividere in due parti, una è un preambolo, una descrizione dei suoi incontri con i Carabinieri, ovvero l’allora Capitano De Donno e l’allora Colonnello Mori, così come da lui testimoniato all’allora Procuratore Caselli e Sostituto Ingroia. L’altra è la trascrizione del suo mandato d’arresto del gennaio del 1993. Era stato scritto per essere inserito nel suo libro “Le Mafie”, da consegnare ad un editore straniero, come lui stesso scrive, ma il libro non venne mai portato a compimento.

In questo manoscritto le cose interessanti sono in primis le date degli incontri: il manoscritto è stato redatto a distanza di mesi dagli incontri e riportano una ricostruzione “a spanne”, eppure i periodi coincidono, anche se discostano per un paio di giorni. Significa che Mori e Ciancimino non erano d’accordo per una versione particolare da riportare. I protagonisti allora erano tranquilli, non avevano bisogno di crearsi un alibi perchè nessun illecito era stato maturato, quindi don Vito, ricostruendo la vicenda per il suo libro, riporta le date come se le ricorda. Interessante è anche la collocazione temporale della vicenda: nonostante i tentativi di De Donno di incontrare Don Vito – ricordiamo che De Donno arrestò Ciancimino nel 1984 quindi sapeva i collegamenti che l’ex sindaco poteva avere con la mafia – riuscì ad essere ricevuto dall’ex politico solo dopo l’attentato a Salvo Lima, la strage di Falcone e quella a Borsellino. Nessun incontro tra le stragi per fermarle, nessuna trattativa saltata che accelerò l’esecuzione di Borsellino: le stragi del 92 erano già compiute, secondo Don Vito.

Un altro dettaglio importante è l’oggetto delle conversazioni: grossi latitanti in cambio di trattamenti favorevoli alle famiglie, ovvero l’applicazione della legge 15 marzo 1991 n. 8 convertita in 82, la famose “legge sui pentiti”. Nessun 41 bis insomma e nessun beneficio per i boss, ma solo per le famiglie, quelle mogli e figli spesso incensurati che si tentava di salvare dalla gogna attraverso l’applicazione della legge e che i mafiosi avevano sempre in mente (si pensino le parole di Totò Riina ripreso di nascosto al maxiprocesso: “Io non ho niente da pentirmi. Ho una moglie e quattro figli da campare.”). Don Vito specifica anche che i Carabinieri, con l’applicazione della legge consideravano le trattative chiuse. Quindi, anche dalla controparte che si tentava di far collaborare arriva la conferma di quanto fino ad ora ripetuto dal Generale Mori.

Il manoscritto è agli atti della Procura di Palermo dal 2005, anno in cui fu sequestrato, così come anche le agende del Generale Mori, dal 1993 ed agli atti del Processo Mori, nonostante un iniziale opposizione della Procura. Sarebbe facile fare un raffronto delle versioni dei protagonisti, escludendo quella di “testimoni” con versioni fantasiose e discordanti da quelle degli attori della vicenda. Del manoscritto riportiamo una trascrizione conforme all’originale della prima parte, quella sugli incontri della presunta trattativa. L’originale invece è a fondo pagina in versione integrale e navigabile. Si ringraziano per i documenti d’archivio Antonella Serafini ed Enrico Tagliaferro.

 

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I CARABINIERI

Il capitano dei carabinieri Giuseppe de Donno varie volte in incontri (più o meno occasionali) con mio figlio Massimo (suo conoscente e coetaneo) lo aveva sollecitato, con gentilezza e cortesia, a chiedermi di potere avere un abboccamento con me.

Io, con altrettanta cortesia, ogni volta, avevo rifiutato il colloquio.

Però la successione DI TRE FATTI CLAMOROSI:

  1. L’assassinio dell’On. Lima che mi ha SCONVOLTO.

  2. La strage in cui perì Falcone che mi ha INORRIDITO

  3. La strage in cui perì Borsellino che mi ha lasciato SGOMENTO.

Mi hanno indotto a cambiare idea ed ho accettato di incontrare il capitano De Donno a casa mia a Roma (Via San Sebastianello 9).

Come è naturale e logico, avrebbe dovuto parlare il capitano, dato che la richiesta del colloquio era stata avanzata da lui.

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Invece, senza tanti preamboli, parlo io ed affermo che respingo con REPULSIONE E SDEGNO la situazione che si è venuta a CREARE ma puntualizzo che, QUELLO CHE E’ PIU’ GRAVE NON RIESCO A VEDERE LO SBOCCO.

Ipotizzo per i tre fatti delittuosi UNA UNICA MATRICE, dietro la quale è POSSIBILE intravedere un DISEGNO POLITICO.

Aggiungo che in OGNI CASO (sia che la MATRICE fosse solo MAFIOSA, sia che fosse POLITICO-MAFIOSA, sia che fosse solo POLITICA) LA SICILIA, comunque, ne sarebbe uscita MASSACRATA SU’ TUTTI I PIANI.

Ero angosciato perché vedevo LO SDEGNO dipinto sulla faccia dei miei FIGLI.

Manifesto al capitano la mia più ampia collaborazione, però concordiamo che la mia disponibilità doveva essere trasferita a livello SUPERIORE sul piano ISTITUZIONALE.

Mi parlò del colonnello dei carabinieri,

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MORI e restammo d’intesa di reincontrarci.

Questo colloquio tra il capitano e me si è svolto verso la fine di Agosto (25 o 26) del 1992.

Col colonnello Mori e col capitano Di Donno ci siamo incontrati il primo Settembre successivo, sempre a casa mia a Roma.

Esposi il mio PIANO in termini SCHEMATICI:

CERCARE un contatto che mi consentisse di dire che il col. Mori ed il cap. De Donno erano venuti a trovarmi ed avevano serie preoccupazioni per la situazione ed avrei aggiunto che la CONDIVIDEVO PURE ED IN PIENO e concludevo chiedendo di conoscere se esistevano margini seri per un dialogo, tenendo presente che la iniziativa del Col. Mori e del cap. Di Donno, allo stato si doveva considerare strettamente personale.

Questo piano fu dai carabinieri accettato.

Dopo una ventina di giorni riuscii a stabilire un incontro con una persona, organo interlocutorio di altre persone. Pensavo che questo interlocutore fosse asettico, invece assunse un atteggiamento che considerai altezzoso ed arrogante perché – riferendo le cose dettegli da altre persone con le quali faceva da tramite – mi apostrofò

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Più o me con queste parole “Si sono rivolti a lei?  Allora aggiustiamo prima tutte le sue cose e poi discutiamo”.

Giudicai questo atteggiamento altezzoso ed arrogante se non altro perché c’erano problemi temporali nel senso che il mio processo in Appello era fissato per il 18 gennaio e mancava perciò spazio per qualche intervento. Sta di fatto che questo atteggiamento altezzoso rafforzò in me l’idea della possibile matrice politica di cui ho sopra detto.

Ci fu poi un ritorno di fiamma delle persone delle quali ho appena detto le quali mi diedero piena delega a trattare. Chiamai i carabinieri i quali mi dissero di formulare questa proposta: “Consegnino alla giustizia alcuni latitanti grossi e noi garantiamo un buon trattamento alle famiglie

Ritenni questa proposta angusta per poter aprire una valida trattativa e convenni con i Carabinieri di comunicare a quelle persone che le trattative dovevano considerarsi chiuse, come se i carabinieri non avessero più

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niente da discutere.

In realtà avevo convenuto con i carabinieri che era meglio non fare conoscere la loro proposta, troppo ultimativa, perché essa avrebbe chiuso definitivamente qualunque spiraglio.

Stabilii peraltro di continuare a titolo personale i miei rapporti con i carabinieri.

Frattanto riflettevo che quelle persone, per assumere l’atteggiamento arrogante di cui sopra dovevano essere pazze o avere le spalle coperte. Io mi ero presentato all’intermediario facendo nomi e cognomi, menzionando cioè (autorizzato da loro) il capitano De Donno e il Col Mori, come mio “lasciapassare”, dicendo che i due – al pari di me – erano preoccupati per la situazione.

A questo punto il mio interlocutore avrebbe potuto esprimere qualche valutazione sul contatto che i carabinieri avevano preso con me, ma non espresse alcuna valutazione al riguardo, Espresse soltanto meraviglia perché i carabinieri si erano rivolti proprio a me.

L’interlocutore (che era anche ambasciatore)

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neppure mi chiese che cosa i carabinieri volessero.

Si limitò a dirmi quel che ho già riferito e cioè che se si erano rivolti a me prima di tutto dovevano aggiustare le cose mie. Solo che non si trattava di un aggiustamento come spostare un auto. C’era, come ho detto, quanto meno un problema di tempi per il processo di appello fissato per gennaio.  In sostanza la mancanza d’interesse dell’interlocutore-ambasciatore per le proposte dei carabinieri e nel contempo la prospettiva di un impossibile aggiustamento mi portarono appunto alla riflessione che un atteggiamento simile potevano tenerlo soltanto persone che fossero pazze o con le spalle molto coperte.

Decisi allora di passare il Rubicone e comunicai ai carabinieri che volevo collaborare efficacemente.

Chiesi che i miei processi “tutti inventati” si concludessero bene. Consegnai una copia del mio libro-bozza.

Proposi, come ipotesi di collaborazione, un mio inserimento nell’organizzazione a vantaggio dello Stato.

Ero consapevole che se fossi stato scoperto avrei potuto rimetterci la pelle ma volevo così ..(parole illeggibili nella fotocopia)…

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Dissi al cap. De Donno che avrei chiesto il passaporto per le vie normali, perché il passaporto mi occorreva per le ipotesi di inserimento di cui sopra (oltre che per la trattativa con l’editore straniero di cui ho parlato in altro verbale).

I Carabinieri accolsero la mia proposta e mi sottoposero – su mia richiesta – mappe di alcune zone della città di Palermo nonché atti relativi ad utenze AMAP, perché esaminando questi documenti e facendo riferimento a due lavoretti sospetti, in quanto suggeritimi a suo tempo (una decina di anni fa) da persona modesta ma vicina ad un boss, fornissi elementi utili per l’individuazione di detto boss.

Proposi inoltre ai Carabinieri l’utilizzo di alcuni canali che avrebbero potuto consentire una certa penetrazione sull’organizzazione, nel senso che durante il periodo in cui ero stato Assessore ai lavori pubblici e successivamente durante il periodo in cui mi ero occupato del PEEP, dovendo

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risolvere problemi assai complessi che comportavano anche la possibilità di agevolazione sia pure in un quadro di ortodossia, avevo avuto tutta una serie di rapporti che consentivano di notare alcune cose. In particolare ero stato stimolato ad avere conversazioni con certe imprese.

Allora non avevo accettato, ma ora (stabilito il rapporto coi carabinieri) potevo riattivarmi per vedere se il collegamento con quelle imprese potesse portare alla confidenza utile nell’ambito del rapporto stabilito da me con i Carabinieri.

Il 17 Dicembre partii per Palermo dove mi incontrai con l’intermediario-ambasciatore che doveva darmi una risposta entro il martedì successivo.

Infatti io gli avevo raccontato (d’intesa coi Carabinieri), una “palla” sonora, grossa come una casa, vale a dire che un’altissima personalità politica (che non esisteva) che era un’invenzione mia e dei Carabinieri, voleva ricreare un rapporto

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tra le imprese senza che potesse riprodursi l’effetto Di Pietro, così da consentire alle imprese (ormai tutte senza una lira) di riprendere il cammino produttivo.

Comunicai l’impegno con l’interlocutore-ambasciatore a rispondermi entro Martedì al capitano De Donno.

Questa comunicazione avvenne il Sabato

Contestualmente comunicai al capitano che il mio avvocato mi aveva detto che stava per essere emesso nei miei confronti il divieto di espatrio.

Mezz’ora dopo questo colloquio venivo

ARRESTATO

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Questo capitolo che ho titolato “I CARABINIERI” è stato copiato dal verbale redatto il giorno 17 marzo 1993 nel carcere romano di Rebibbia, innanzi al Procuratore Distrettuale della Repubblica di Palermo, dott. Giancarlo CASELLI e al sostituto Procuratore dott. Antonio INGROIA, assistiti per la redazione dal capitano Giuseppe DE DONNO in servizio presso il Raggruppamento Operativo Speciale Carabinieri (si tratta proprio del capitano di cui parlo nel capitolo “I CARABINIERI”. Come dire che quello che ho raccontato sui carabinieri è da loro stessi firmato e sottoscritto in un verbale giudiziale, in presenza del Procuratore Distrettuale Giancarlo CASELLI.

 

Appunti Ciancimino

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