Nuove prove di innocenza, spera in nuovo processo

Francesco Lutzu scrive a Ciampi “Mi aiuti a chiudere il caso”

Vistasi respinta a Palermo la richiesta di revisione del processo in base a nuove prove, sollecita una sentenza in 30 giorni

NUORO. Francesco Lutzu, condannato all’ergastolo per l’omicidio della moglie Domenicangela Atzas e ritornato in liberta’ dopo 25 anni di carcere, non demorde. L’ex ragioniere di Noragugume, dopo la sentenza della corte d’appello di Palermo, che ha respinto l’istanza di revisione del processo nonostante la presenza di nuove prove, si e’ rivolto al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi sollecitando un suo intervento sulla vicenda. Ecco il testo della lettera.

Illustrissimo signor presidente, il suo auspicio, nel discorso di fine anno, di una maggiore giustizia nel Paese non puÚ essere considerato da nessuno come una astratta espressione di circostanza. Io lo interpreto come una dichiarazione di volonta’ di Chi ha l’alta responsabilita’ e il potere di intervenire, anche attraverso la funzione di presidente del Consiglio superiore della magistratura per migliorare l’amministrazione della giustizia in Italia e soprattutto sanare le anomalie e le disfunzioni piu’
eclatanti e dannose. Per intervenire occorre conoscere cio’ che accade. Per questo Le segnalo il mio caso, certamente unico nella storia giudiziaria italiana per la sua assurdita’, ma ben per questo piu’ significativo. Circa quarant’anni fa fui condannato all’ergastolo, in Sardegna, per un fatto delittuoso che oggi, dopo aver scontato 25 anni di reclusione, ho potuto dimostrare non essere “mai accaduto”.
L’accusa falsa, a conclusione di un’interminabile istruttoria condotta segretamente e violando sistematicamente il codice di procedura, fu formalizzata nel seguente capo d’imputazione, che coinvolse anche mio padre 74enne, per cui fummo rinviati a giudizio per “omicidio aggravato… per avere, in concorso tra loro e di Putzolu Costantino (poi assolto con formula piena – N.d.L.) e con individui rimasti sconosciuti (questi ultimi esecutori materiali), cagionato la morte di Atzas Domenica Angela, moglie del Lutzu Francesco, mediante esplosione di fucilata la notte dal 19 al 20 luglio 1961, in localit‡ sconosciuta, verosimilmente dell’agro di Borore (simulando successivamente nella stessa notte un’aggressione nella localita’ “S.Lussorio” sulla strada bivio Borore-Borore, ove il cadavere fu rinvenuto)…

Nel corso di tre decenni di mie indagini sono riuscito a scoprire le prove delle falsificazioni e dei travisamenti di fatti con cui fui accusato e condannato. Fra gli atti che documentavano la verita’ e che furono occultati ho scoperto anche l’atto di morte della povera Domenica Angela, il quale certifica che ella morÏ “alle ore 23 e minuti 30 nell’ospedale G.P. Delogu di Ghilarza, dove era stata trasportata da me, dal medico ufficiale sanitario di Borore e dai carabinieri, con la loro camionetta, subito dopo l’aggressione stradale notturna da noi subìta.

Quindi, ufficialmente mia moglie mori’ due volte, quella notte.

La prima volta “in localita’ sconosciuta”, secondo il capo d’imputazione e la sentenza di condanna, e la volta successiva in ospedale, come dimostrano l’atto di morte e le nuove prove da me presentate alla corte d’appello di Palermo, che proprio in base a queste prove accolse immediatamente la mia domanda di revisione della sentenza, col “nulla osta” della procura generale.

Ma quella corte d’appello, IV sezione penale, dopo aver accertato l’autenticita’ delle prove ritenute utili e sufficienti per la revisione, inaspettatamente, il 27 dicembre scorso ha respinto la mia istanza.
Di conseguenza oggi sappiamo, secondo la ricostruzione su base ufficiale che se ne puo’ fare, che io feci uccidere mia moglie “in localita’ sconosciuta”, la feci trasportare “cadavere” sul luogo di una “finta aggressione”, dove pero’ un ufficiale sanitario e i carabinieri la trovarono viva e la portarono all’ospedale dove ella mori’ per la seconda volta. Non accadeva nulla di simile dai tempi di Lazzaro. Se le cose restassero a questo punto, sarebbe un miracolo autenticato giudiziariamente. Ma non e’ di questa storia assurda che volevo parlarle, signor presidente. Di essa potra’ leggere analiticamente nel libro bianco che le presentero’, se lei avra’ la bonta’ di ricevermi, oppure potra’ conoscerla su Internet, su cui ognuno potra’ consultare i relativi documenti, non appena sara’ depositata la motivazione della sentenza della corte d’appello di Palermo.

E’ appunto il dispositivo di questa sentenza che debbo segnalarle. Il giudizio e’ stato emesso dopo una brevissima camera di consiglio (circa 70 minuti), alla fine di una mattinata in cui in precedenza erano state trattate altre tre cause, anche concernenti abusi edilizi. Tutto formalmente regolare.

Sennonche’, dopo aver deciso cosi’ rapidamente, la corte si e’ assegnata il termine di 90 giorni per la redazione dei motivi su cui e’ fondata la decisione. Il termine di 90 giorni e’ il massimo consentito eccezionalmente dalla legge solo “quando la stesura della motivazione e’ particolarmente complessa per il numero delle parti o per il numero e la gravita’ delle
imputazioni” (art. 544 C.p.p.). Non e’, evidentemente, il mio caso, come e’ dimostrato anche dalla brevita’ della camera di consiglio. “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”, ma questa debbono rispettarla, e la legge impone loro anche di rispettare la logica, altrimenti la funzione giudiziaria diventerebbe un potere assoluto. Per evitare questo, la legge prevede opportuni interventi. E io ora La prego di intervenire, nella veste di presidente del Csm, affinchÈ sia censurata la
decisione dei giudici della corte d’appello di Palermo, di estendere a 90 giorni il termine per redare la sentenza, e gli stessi siano invitati a depositarla entro i normali 30 giorni, proporzionati alla brevita’ della camera di consiglio e del processo, secondo la forma e lo spirito della legge.

Le buone leggi ci sono. Ma se non vi ottemperiamo non possiamo poi dire che non vanno bene e che anche le sconcertanti lungaggini processuali siano dovute a esse. In Italia da vent’anni non facciamo che cambiare le regole, ma nella pratica non cambia mai niente, perche’ i motivi sono ben altri.

Con la massima stima.

da “la Nuova Sardegna” 14 gennaio 2001

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7 commenti

  1. Non ci sperare, bello, questa non Ë l’America, dove se ci sono prove nuove ti riaprono un processo. Questo Ë un paese di merda, dove se non hai un santo in paradiso crepi in carcere, scusa la crudezza ma Ë la verit‡.
    by Mario F.

  2. Caro Mario F. non credere che l’America sia tutto questo paradiso! Anzi! Prova a viverci un po’, poi ti rendi conto dove sta la merda vera. Ringrazio il cielo di stare in Italia, adesso
    Francesco Lentini da Viareggio

  3. ma speri veramente che ti diano retta?, ormai la vita te la sei giocata…..auguri amico

  4. ma speri veramente che ti diano retta?, ormai la vita te la sei giocata…..auguri amico.

    by SoYe V.

  5. penso che l’unica maniera per via che il tuo caso sia preso in considerazione e’ quello di reclamizzarlo in tv partecipando a programmi e talk show,e a mezzo stampa,altrimentiper le solite vie ordinarie hai poche speranze

  6. e chi l’avrebbe uccisa domenicangela? ventisette anni e incinta? il marito non c’entra? stava tornando dal parrucchiere, l’agguato sarebbe stato per il marito ma i due malviventi hanno colpito solo lei…

  7. Salve a tutti…sapete per me è strano scrivervi perchè so benissimo che sono molto piccola per interessarmi a queste cose, mi presento… sono una diciamo “pronipote” di Domenicangela Atzas, mi risulterebbe sorella di mio nonno e vi sembrerà strano che la verità su questa storia l’ho conosciuta solo qualche anno fà, solo perchè mia nonna per sbaglio ha detto che “avevano ucciso la sorella di mio nonno” ma la verità non l’ho MAI voluta sapere…oggi mentre ero a scuola e stavamo (con i miei compagni) navigando su internet ho letto questo testo e mi sono sentita male…che ancora oggi, non solo io non so la verità, ma non la sa nessun altro…

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