Lettera ai Ragazzi

Premettendo che mal sopporto le categorizzazioni del tipo: ìle donneî, ìgli extracomunitariî, ìi gayî, ìle persone di coloreîÖ e cosÏ via. Semplificazioni superficiali e riduttive che fanno di tutta líerba un fascio e trasformano le persone appartenenti a gruppi omologhi, in minoranze ghettizzate.
CiÚ vale soprattutto per ìi giovaniî, anche perchÈ si tratta di una condizione assolutamente individuale, in continuo mutamento e per questo impossibile da omologare e categorizzare.
Eí infatti proprio a loro, ai ragazzi di ogni et‡ che conosco e non conosco, a cui mi vorrei rivolgere con una esortazione: non fatevi affascinare dalle soluzioni violente. La violenza non Ë mai la soluzione di un problema, Ë invece la faccia peggiore di tutti i problemi.
Il sintomo di una patologia dalla quale dovremmo imparare a curarci con tutto líamore che siamo capaci di produrre.

Cari ragazzi;

subito dopo líassassinio di Marco Biagi, gi‡ triste di per se, come lo Ë sempre la perdita di un essere umano, ho avuto occasione di rabbrividire ascoltando alcuni studenti e studentesse a bordo di un autobus che ci portava tutti a casa dopo una giornata di lavoro, ognuno di ritorno dalla sua fabbrica.
Un gruppo di ragazzi come voi, come i miei figli, come i figli della maggior parte di noi. Ragazzi del liceo o deglíistituti tecnici, ragazzi belli, sani, robusti, intelligenti, pieni di vita e di speranze ma anche di confusioni, di paure e di aggressivit‡ pi? o meno represse.
Una fanciulla ricciolina e con un allegro sexy pearcing sulla lingua: ìQuel Biagi lÏ se lo meritava; il solito servo del GovernoÖî Un marcantonio ìpettinatoî da Rasta risponde con atteggiamento tra il bovino e il nikilista: ìma chi se ne frega; tanto sono tutti uguali e fanno tutto quello che vogliono. Io non ci sto pi? dentroÖî
BrrrÖche gelo mi Ë passato per le ossa. Capisco che si possa e forse si debba essere arrabbiati o, per inverso cinici e distaccati; lo capisco, ma non lo posso accettare in questi termini.
Eí vero; il mondo in cui viviamo ci fa vergognare di esserne abitanti. Un mondo nel quale un canadese usa 350 litri di acqua al giorno e un bambino africano muore di siccit‡ deve far incazzare. Un sistema nel quale i patrimoni dei tre uomini pi? ricchi del mondo corrispondono al prodotto interno lordo dei 48 paesi pi? poveri della terra, deve far incazzare. Un modello che ammazza per fame tre quarti dellíumanit‡ e ne ammala il restante quarto per ipernutrizione, farebbe ridere se non facesse troppo schifo. E per questo deve far incazzare. Ma soprattutto deve far reagire.

Ecco perchÈ dobbiamo lottare e fare fronte comune. Impegnarci a fondo, gradino dopo gradino per far raccogliere il fiore dellíequit‡ e della giustizia sociale a coloro che verranno dopo di noi. Altri ragazzi che lo raccoglieranno e lo risemineranno ancoraÖe ancoraÖe ancora. Senza fermarsi mai. Con caparbiet‡ e durezza ma evitando accuratamente le provocazioni e la violenza. Non solo perchÈ essa Ë moralmente ed eticamente esecrabile, ma soprattutto perchÈ inutile e dannosa. Una vera e propria carta in pi? che regaliamo a chi vuole mantenere il pi? a lungo possibile il proprio stato dominante. Altro che Imperialismo o impero, altro che globalizzazione e contro-globalizzazione; qui si tratta dei sempre meno contro i sempre pi? ed Ë una battaglia che si puÚ vincere solo con gli stessi strumenti dellíavversario e scendendo sul suo proprio campo: IL CONTRO CONSUMO E IL CONTROMERCATO.

Eí FINITO IL TEMPO DELLE AZIONI DIMOSTRATIVE
Non basta pi? indignarsi, mettersi contro, parlarne, fare girotondi e marce della pace. Eí venuto il tempo di agire e per piegare il ferro non serve una fortissima martellata ogni tanto, ma milioni e milioni di piccoli colpi che lo scioglieranno come il grasso di maiale al sole. Per questo la globalizzazione selvaggia deve essere combattuta con le sue stesse armi. La globalizzazione dei pochi ricchissimi che controllano tutto sulla pelle dei troppi poverissimi deprivati persino del diritto alla dignit‡. Una globalizzazione che deve essere combattuta e nel contempo cavalcata come strumento di lotta. La globalizzazione dei diritti per informare, coinvolgere, convincere e motivare i pi? ad unirsi per far vacillare e cadere i meno che governano quel gigante dai piedi díargilla che si chiama capitalismo. Un gigante che si puÚ vincere senza colpo ferire.

Parliamone se volete e scopriremo insieme che con qualche sacrificio e molta autodisciplina si puÚ far perdere líequilibrio a Golia senza neppure toccarlo con un dito. Baster‡ semplicemente smettere di finanziare i suoi giochetti di Societ‡ e fargli capire che senza pi? pesci da pescare persino il pescatore pi? ingordo dovr‡ contentarsi dellíinsalata.

Buona crescita a tutti
e a risentirci presto. Mario Morales

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