Una sentenza storica di mobbing che non si ha il coraggio di portare alla ribalta: perche’?

Gentilissima Lisa, (la responsabile mobbing del sito, n.d.r.)

non riesco a dare visibilita’ a Sentenze che riguardano comportamenti mobbizzanti di ufficiali e sottufficiali della Marina Militare perpetrati, ingiustamente, contro una donna, come se godono di un privilegio che non puo’ essere offuscato nemmeno da sentenze emesse da un tribunale.

Molti siti, anche giuridici, continuano a non voler dare visibilita’ a queste due Sentenze che per la barbarie messa in atto e per la difesa strenua opposta dalla vittima che di fatto ha “affondato”, da sola, la corazzata marina militare e puo’ per questo dare speranza a quanti vivono sulla loro pelle siffatte porcherie istituzionali senza che nessuna Procura abbia avuto quell’etico e morale coraggio di sbattere sul banco degli imputati i colpevoli gallonati.

“Dura lex sed lex”, vale oramai solo per tossici e clandestini tanto che, in parecchie aule di giustizia, coerentemente, non appare piu’ nemmno la scritta “la legge e’ uguale per tutti” ed i numerosi procedimenti penali di questo sfrenato mobbing-Bossing Strategico Istituzionale, aperti con la tecnica dello spezzatino, per meglio poter archiviare, volge oramai verso la prevista prescrizione senza che i P.M. interessati avessero mai contestato, come atto dovuto, ne la violazione della sicurezza sul lavoro Legge 626/94, ne tantomeno la violenza privata. Quindi, gli atti dovuti dei PM non sempre sono certi se gli imputati godono di privilegio: la casta e’ casta diceva Toto’, per questo forse anche i PM la devono rispettare.

Oggi e’ il 25 Aprile, giorno della Liberazione e a distanza di tanti anni, mi domando quando tempo ancora dovra’ trascorrere prima che ci si possa liberare dei tanti corrotti che indecentemente continuano a rivestire cariche pubblice, indecorosamente .

Sperando ed augurandomi di fare cosa gradita, si inviano di seguito n.2 sentenze di cui una, la prima, gia’ passata in giudicato e afferma l’acclarata responsabilita’ datoriale, la seconda, meglio chiarisce quanto acclarato con la prima ed evidenzia gli atti omissivi “di certa brava ed onesta gente” impunibile!!
Cordiali saluti

Nunzio Cifelli

mirella d’amico sentenza

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  1. TRIBUNALE CIVILE E PENALE – LA SPEZIA
    DISPOSITIVO DI SENTENZA

    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    II Tribunale, composto da:

    dott.Vincenzo FARAVINO Presidente

    dott.ssa Marta PERAZZO Giudice

    dott. Mario DE BELLIS Giudice

    alla pubblica udienza del 30/03/07 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente

    SENTENZA

    nei confronti di:

    DI GAETA PASQUALE

    Visti gli artt. 533 e 535 cpp

    dichiara DI GAETA PASQUALE colpevole del reato di abuso di ufficio di cui al capo a), limitatamente al contestato mutamento di mansioni, nonché del reato di falso ideologico di cui all’art. 479 c. p. in relazione all’art. 476 comma 1 c.p., con l’aggravante di cui all’art. 61 n. 2 c.p., e ritenuta la continuazione tra tali reati, concesse le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, lo condanna alla pena di anni uno di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

    Visto l’art. 31 c.p.

    Condanna DI GAETA PASQUALE all’interdizione temporanea dai pubblici uffici per anni uno.

    Visti gli artt.163 e 178 c.p.p.

    Concede i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel casellario giudiziario.

    Visto l’art. 537 c.p.p.

    Dichiara la falsità dell’ordine di servizio n. 2 bis del 25.6.1999 e dispone la cancellazione dello stesso da effettuarsi mediante annotazione sull’originale da parte dell’Amministrazione militare competente.

    Visto Part. 538 c.p.p.

    Rigetta le domande di risarcimento del danno di Cifelli Nunzio e Cifelli Romolo.

    Visto Part. 544 comma 3 c.p.p. Indica in giorni 90 il termine per il deposito della sentenza.

    La Spezia,30 marzo 2007 Il Presidente

    Dott. Vincenzo Faravino

  2. Sentenza provvisoria n. 513/04

    TRIBUNALE DELLA SPEZIA

    Sezione Lavoro

    VERBALE UDIENZA

    Il giorno 22 Giugno 2004 nei locali del Tribunale della Spezia, davanti al Giudice Monocratico del Lavoro, dottoressa P. Fortunato, si procede alla trattazione della causa di LAVORO iscritta al n. 1977/00 + altri R.G.L. promossa da

    MIRELLA D’AMICO – Avv. Valettini – Berardi
    Contro
    MINISTERO DELLA DIFESA – Avv Rocchitta (n.d.r. assente)

    Sono presenti
    per parte ricorrente : la parte personalmente
    per parte convenuta : il STV F. …………….

    Gli avvocati Valettini e Manzi depositano istanza per la concessione di provvisionale intendendo come in essa, corredata da documentazione attestante le spese sostenute e richiedendo la corresponsione anche delle stesse.
    Il Giudice
    Decide sull’istanza con sentenza non definitiva, come da separato dispositivo di cui viene data immediata lettura e della concisa esposizione della motivazione di fatto e di diritto della motivazione ex art. 281 sexies c.p.c.
    MOTIVI DELLA DECISIONE

    Dall’espletata istruttoria risulta acclarato che la signora Mirella D’AMICO ha subìto sul posto di lavoro prevaricazioni imputabili al datore di lavoro che le hanno causato un danno alla salute con conseguente grado di invalidità permanente riconosciuto dal CTU in un grado compreso tra il 15% e il 20%.
    Da parte della difesa della ricorrente le conclusioni di tale consulenza sono state ritenute non adeguatamente commisurate all’effettivo pregiudizio subito per cui si è chiesto di integrare la consulenza in relazione alla quantificazione del grado di invalidità.
    Nel frattempo è stata evidenziata e documentata per l’istante la necessità di sottoporsi a cure mediche costose e spese legali delle quali non può far fronte con i suoi redditi nonché l’esigenza di richiedere il riconoscimento di una provvisionale nei confronti del Ministero della Difesa.

    Questo Giudice ritiene che ricorrano le condizioni previste dall’art. 278 c.p.c., in quanto dall’espletata istruttoria risulta accertata la sussistenza del diritto della D’Amico come sarà detto diffusamente nella sentenza definitiva del presente giudizio, ma è ancora controversa l’entità della prestazione dovuta.
    Nei limiti della somma di Euro 57.516,97 (corrispondente ad un danno biologico di natura psichica permanente del 20% così come riscontrato dal CTU, la domanda può essere accolta.
    P.Q.M. visto l’art 278 c.p.c C O N D A N N A
    Il Ministero della Difesa in persona del Ministro pro-tempore al pagamento in favore della signora D’AMICO di una somma di Euro 57.516,97 (cinquantasettemilacinquecentosedici//97) a titolo di provvisionale commisurata ad un danno biologico di natura psichica permanente fino ad ora accertato pari al 20%.
    Le spese al definitivo – Così deciso in La Spezia il 22 Giugno 2004 Il Giudice Monocratico
    P. Fortunato

    La Nazione del 23 Giugno 2004 di Corrado Ricci e Massimo Guerra

    GIUSTIZIA una << SENTENZA PROVVISORIA>>

    Mobbing, la Marina condannata a pagare l’ex economa del Circolo

    – Il Giudice del lavoro ha riconosciuto il diritto di Mirella D’AMICO ad ottenere un anticipo di 57 mila euro del risarcimento per poter fronteggiare le spese mediche e legali per il braccio di ferro con ministero.

    La Spezia – Svolta clamorosa nella causa per mobbing promossa dalla signora Mirella D’Amico contro l’amministrazione della Difesa per le asserite vessazioni subite dall’epoca in cui, economa del Circolo Sottufficiali di Marina, aveva denunciato pasticci nella gestione contabile.

    Il giudice del lavoro Pasqualina Fortunato, pur non emettendo un verdetto finale, ha pronunciato una <>

    che riconosce il diritto della ricorrente ad ottenete una somma <> di 57 mila euro a titolo di risarcimento. Un diritto ancorato a quanto è finora emerso dall’istruttoria che, come scrive il magistrato nella parte del provvedimento riservata alle motivazioni, ha “ acclarato che la signora D’Amico ha subito sul posto di lavoro prevaricazioni imputabili al datore di lavoro che le hanno causato un danno alla salute, con conseguente grado di invalidità permanente” la cui entità è ancora in fase di accertamento. Insomma, una sorta di anteprima della sentenza. Ad innescarla è stata una precisa istanza della signora D’Amico per l’ottenimento di un anticipo sul risarcimento capace di far fronte alle spese mediche e legali sostenute nella complessa battaglia che la contrappone all’amministrazione, spese che sfiorano la soglia della somma che ora dovrà erogarle il ministero. Una battaglia articolata su più fronti, la sua, con un’altalena di pronunciamenti della magistratura. E’ da ricordare, ad esmpio, che il gup Alessandro Ranaldi, a proposito delle ipotesi di reato di peculato contestate dal pm Maurizio Caporuscio ai vertici del Circolo Sottufficiali per fatti risalenti al 1999, aveva concluso nel senso del proscioglimento degli imputati, pur parlando di “gestione contabile approssimativa e superficiale” del circolo, con conseguenti ammanchi di denaro e di merce. Furono proprio questi “eventi” a indurre l’economa alle denunce, andando poi incontro, come ora “certifica”, la sentenza provvisoria del giudice del lavoro, a , il cosiddetto << mobbing >>, appunto.

    Attorno all’economa venne, infatti, fatta terra bruciata, fino al licenziamento ( anche questo oggetto di ricorso davanti ai giudici).

    Quella promossa dalla signora D’Amico è, alla Spezia, la prima causa in materia di vessazioni su un luogo di lavoro. E, se già fa notizia la sentenza non definitiva, appare destinato ancora a maggior clamore il verdetto.

    Al momento i legali della ricorrente, gli avvocati Roberto Valettini e Mauro Manzi, hanno un primo riscontro della determinazione con la quale si sono prodotti nell’assistenza legale, in uno scenario che ripropone le dinamiche della storia di Davide e Golia, con la signora D’Amico che ha affrontato il “gigante” costituito dal Ministro della Difesa, con una grande tenacia, fino a raggiungere la ribalta televisiva nazionale, forte della sua certezza di essere nel giusto. Intanto si consola con il provvedimento emesso dal giudice del lavoro Pasqualina Fortunato che, al di la del riconoscimento dei diritti, si risolve per la ricorrente in una ricarica morale.

    E intanto il garante della privacy denuncia il Circolo

    La Spezia – Sulla querelle del mobbing patito dalla signora D’Amico irrompe anche il garante della privacy Stefano Rodotà.

    Lo fa per sanzionare il Circolo Sottufficiali là dove questo ha diffuso all’Inail certificati medici estranei al procedimento aperto per la malattia professionale.

    Il Garante ha anche inviato gli atti alla procura della repubblica in relazione ad una falsa dichiarazione resa, all’Autorità per la privacy, dai vertici del Circolo in merito all’invio dei certificati oggetto della contestazione. Certificati medici di cui ora è inibito l’uso all’Inail.

    Era in base a quelli che l’istituto assicurativo aveva rigettato la domanda di rendita professionale.

    Il procedimento per questa, dunque, dovrebbe riaprirsi.

    La Nazione del 23 Giugno 2004

  3. SENT. N. 294/05

    CRON. N. 2551

    Avviso dep. Sent. 4 Luglio 2005

    Tribunale della Spezia

    Sezione Lavoro

    REPUBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Giudice monocratico del lavoro dottoressa P. Fortunato ha pronunciato la seguente

    S E N T E N Z A

    Nelle cause di pubblico impiego riunite iscritte ai numeri 1977/00 – 66901 – 1272/01 – 1500/01 – 45/02 – 224/02 – 449/02 – 689/02 – 915/02 – 1116/02 – 1521/02 – 1522/02 –1981/02 – 755/03 – 948/03 – 1353/03 R.G.L.

    Aventi per oggetto: MOBBING E OPPOSIZIONI A DECRETI INGIUNTIVI

    PROMOSSA DA

    D’AMICO MIRELLA, nata a Popoli (Pescara) il 19.05.1955, residente alla Spezia ed elettivamente domiciliata in La Spezia, Piazza S. Agostino n.10 presso e nello studio dell’Avv. Ruggero Berardi che la rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’Avv. Roberto Valettini giuste deleghe in atti

    RICORRENTE

    CONTRO

    MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso, ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso i cui uffici in Genova, Viale Brigate Partigiane n. 2 ha domicilio legale

    CONVENUTO

    CONCLUSIONI DELLE PARTI

    “ I procuratori delle parti si riportano ai loro atti difensivi”

    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    Con ricorso depositato in data 5/10/2000 e ritualmente notificato la Signora D’Amico Mirella, dipendente civile di ruolo del Ministero della Difesa, in servizio presso il Circolo Sottufficiali della Spezia con qualifica di operatore amministrativo contabile (quinta qualifica funzionale, ora area B, posizione economica B2) svolgente mansioni di segretario economo di suddetto circolo a decorrere dall’11/5/85, conveniva in giudizio davanti al Tribunale della Spezia – giudice monocratico del lavoro – tale Ministero in persona del Ministro pro-tempore onde ottenere il risarcimento dei danni originati da comportamenti vessatori e prevaricatori posti in essere nei suoi confronti da funzionari civili e militari ad esso preposti.

    Lamentava come conseguenza di ciò una crisi ansiosa-depressiva con conseguenti patologie di natura psichica e pregiudizio permanente di natura biologica, morale ed esistenziale.

    Nello stesso ricorso veniva rappresentato che lo scopo perseguito dal datore di lavoro attraverso i propri funzionari era quello di “sbarazzarsi” della D’Amico perché “colpevole” di aver segnalato irregolarità amministrative/contabili che si perpetravano presso il Circolo Sottufficiali della Spezia.

    Si Costituiva i giudizio il Ministero della Difesa in persona del Ministro pro-tempore a ministero dell’Avvocatura dello Stato di Genova che contestava che i fatti lamentati dalla D’Amico potessero costituire mobbing.

    In pendenza di giudizio, l’Amministrazione della Difesa emetteva in data 13/11/2000 provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro per infermità della ricorrente.

    Per tale motivo veniva presentato in corso di causa ricorso d’urgenza ex artt. 669 bis e seguenti c.p.c.. Con memoria del 21/3/201 si costituiva il Ministero convenuto che evidenziava che la risoluzione del contratto di lavoro si sarebbe verificata soltanto nell’eventualità che la presunta invalidità fosse stata confermata dalla Commissione di secondo grado e fosse stato emanato un provvedimento formale di risoluzione del contratto di lavoro.

    Con ordinanza in data 3/4/2001 questo giudice, sul presupposto che non di reintegrazione si deve parlare, ma di continuazione di un rapporto che formalmente non è mai cessato poneva l’obbligo in capo al Ministro pro-tempore di emettere con urgenza i provvedimenti economici conseguenti a tale declaratoria.

    Ciò nonostante, la ricorrente era costretta ad adire nuovamente l’Autorità giudiziaria chiedendo l’emissione di decreti ingiuntivi per ottenere il pagamento delle mensilità dovute. Contro quasi tutti tali decreti ingiuntivi il Ministero della Difesa proponeva opposizione deducendo che le competenze mensili maturate successivamente alla data del 31/10/2000 non spettavano alla D’Amico in quanto la stessa si trovava nella situazione delineata dall’art. 21, comma 2 del C.C.N.L. – Comparto Dipendenti Ministeriali, che prevede la possibilità per il pubblico dipendente di assentarsi per ulteriore periodo di 18 mesi da sommare a quanto previsto dal comma 1 del medesimo articolo, “nell’ipotesi di casi particolarmente gravi, ma senza diritto alla retribuzione”. Successivamente al ricorso in data 4/5/2001 (ex art. 669 octies c.p.c. per la pronuncia di merito) questo giudice provvedeva alla riunione di tale ricorso con quello depositato in data 5/10/2000 (ricorso per mobbing).

    Istruita la causa mediante audizione di diversi testimoni ed acquisizione di numerosi documenti, il giudice disponeva C.T.U. medica all’esito della quale emetteva sentenza non definitiva n. 513/2004 condannando parte resistente a corrispondere una provvisionale per euro 57.516,97. All’udienza odierna, riuniti i procedimenti iscritti ai nn. 1977/00 – 669/01-

    1272/01 – 1500/01 – 45/02 – 224/02 – 449/02 – 689/02 – 690/02 – 915/02 – 1116/02 – 1521/02 – 1522/02 – 1981/02 – 755/03 – 948/03 – 1353/03 R.G.L., la causa veniva discussa e decisa come da separato dispositivo di cui veniva data immediata lettura in udienza ed a sostegno del quale vengono svolte le seguenti considerazioni.

    MOTIVI DELLA DECISIONE

    La signora Mirella D’Amico chiede di essere risarcita dei danni patrimoniali, di carattere biologico, morale ed esistenziale che ricollega ai comportamenti vessatori e prevaricatori posti in essere nei suoi confronti da funzionari civili e militari preposti alla direzione ed alla sorveglianza del Circolo Sottufficiali del Ministero della Difesa della Spezia ove la stessa ha svolto le mansioni di segretario economo per circa 15 anni.

    Per valutare se realmente vi sia stata una attività persecutoria nei confronti della ricorrente occorre ricostruire i fatti e verificare se siano stati posti in essere atti e/o comportamenti, anche non autonomamente sanzionabili, ripetuti in maniera frequente e duratura al fine di danneggiare la lavoratrice.

    A parlare devono essere fatti oggettivi e comprovati per cui appare necessario prima di tutto esaminare la cronologia degli avvenimenti documentati.

    Il Giudice, infatti, opera come uno storico che deve ricostruire la verità dei fatti e se da un lato egli è totalmente libero nel giudizio di diritto per il principio “iura novit curia” dall’altro è necessariamente soggetto al vincolo della conoscenza soltanto dei fatti affermati dalle parti “iudex secundum alligata iudicare debet”. Ciò premesso occorre esaminare la documentazione in atti secondo l’ordine cronologico indicato dalle parti che denota già da una prima lettura come vi sia stata una graduale progressione della fattispecie posta all’esame del giudicante fino ad arrivare all’esclusione della signora D’Amico dal mondo del lavoro.

    Ma….. partiamo dall’inizio.

    PROVA DEL MOBBING
    In data 4/2/1999 la Signora Mirella D’AMICO, nello svolgimento delle proprie mansioni di segretario economo del Circolo Sottufficiali, avendo rilevato anomalie nella gestione della Cassa e tenuta della contabilità, provvede a segnalare, tramite via gerarchica al Capo di Stato Maggiore, dette irregolarità (cf. doc. n.2 del fascicolo di parte ricorrente). Va precisato che ai sensi dell’art. 5 delle disposizioni dell’Ente Circoli di Roma (norme per la contabilità Circolo Ufficiali e Sottufficiali) il segretario economo “svolge il servizio di cassa, provvede ed è responsabile della corretta compilazione di tutta la documentazione contabile e delle relative operazioni, registrazioni e trascrizioni”.
    Il Capo di Stato Maggiore, in forma riservata e personale riscontra detta missiva imputando il fatto ad un “disguido”.
    Va premesso che il coniuge della D’Amico (ex sottufficiale di Marina) aveva già inviato una lettera in data 15/1/99 volta a rappresentare al Comando in Capo, in modo circostanziato e dettagliato, la situazione in essere presso il Circolo Sottufficiali della Spezia ed in particolare il fatto “che fosse affidata la gestione della mensa del Circolo Sottufficiali ad un dipendente che impropriamente effettuava pagamenti di fatture con il consenso degli organi direttivi dell’Ente stesso creando alla ricorrente difficoltà nella regolare tenuta della contabilità”.
    Il giorno 7/7/1999, al rientro dal periodo feriale, la ricorrente si trova nella impossibilità di poter accedere al proprio ufficio in quanto la serratura dello stesso risultava essere stata cambiata. Sulla porta dell’ufficio economato era stato apposto un cartello recante la dicitura “Area Riservata” ed il nominativo della D’Amico non figurava tra quelli, ivi indicati, autorizzati all’accesso. Alle rimostranze della stessa le veniva detto “da voci di corridoio” dell’avvenuta sua sostituzione nell’incarico di segretario economo con altra dipendente, Vitale Argentina, coadiutore IV livello, mediante l’ordine di servizio n.2 in data 24/6/1999 (prod. N.3) che non teneva conto che l’art. 5 delle disposizioni Ente Circoli Roma dianzi richiamato prescrive che in mancanza del Segretario Economo le relative attribuzioni devono essere esercitate dal tesoriere come era accaduto in altre circostanze (cf. pag.14 della trascrizione, testimonianza Marzocco, tesoriere del circolo 94-95); né del fatto che la D’Amico veniva sostituita nell’incarico in un momento in cui si trovava in congedo ordinario.
    Il giorno successivo, 8/7/99, perdurando la chiusura della porta dell’ufficio ed il divieto di ingresso la D’Amico, dopo aver sostato nel corridoio e nel locale lavanderia per diverse ore richiedeva l’aiuto delle Forze dell’ordine e solo a seguito del loro intervento veniva informata dall’aiutante Cimino, sopraggiunto in seguito, che l’accesso al luogo di lavoro era stato regolamentato secondo le seguenti norme: “ chiave di accesso al luogo di lavoro da ritirare e consegnare giornalmente alla guardiana previa firma su apposito registro”. Nel momento in cui veniva a conoscenza di tali disposizioni la D’Amico continuava tuttavia a non trovare collocazione in nessuno dei due uffici del Circolo (Economato e Segreteria dettaglio) provvisti entrambi del cartello indicante le persone autorizzate all’ingresso (fra le quali non compariva il nome della ricorrente). Veniva inoltre a sapere che l’altra dipendente dell’ufficio economato, la dipendente dell’ufficio del capo carico ed il personale della lavanderia continuavano ad essere in possesso delle chiavi dei rispettivi locali e tali chiavi continuavano a portarle a casa, come si era sempre fatto.
    Quello stesso giorno 8/7/99 le veniva notificato dal Presidente Di Gaeta l’ordine di servizio n. 2 datato 24/6/99 firmato dallo stesso Presidente e dal C.S.M. con il quale era stato conferito il suo incarico al coadiutore Vitale Argentina di IV livello (cf.prod.n.3).
    Il giorno 9/7/99 le veniva notificato sempre dallo stesso Presidente del Circolo l’ordine di servizio n.3 dell’8/7/99 con il quale le venivano attribuite mansioni inferiori (IV livello) a quelle di VII livello svolte da circa 15 anni ed in ogni caso alle mansioni di inquadramento corrispondenti al V livello. Avrebbe in conclusione dovuto svolgere solo alcune delle mansioni del coadiutore ponendosi in subordine a Vitale Argentina che fino a quel momento era a lei subordinata. Continuava a non trovare collocazione alcuna negli uffici né come operatore amministrativo contabile e nemmeno come coadiutore.
    In data 22/7/99 le venivano notificate a casa, mentre era in malattia, dai Carabinieri pronto intervento due missive:
    1. Fg. nr. 924 datato 12/7/99 del Circolo Sottufficiali con il quale veniva convocata (anche se in malattia) presso la Presidenza del Circolo stesso per la consegna delle chiavi della scrivania dove erano custoditi solo effetti personali, minuta cancelleria ed elaborati senza alcuna rilevanza. Stranamente non le veniva richieste la chiave di riserva della cassaforte e la chiave dell’armadietto-libreria che peraltro veniva rinvenuto aperto nella parte posteriore.

    2. Fg. 85/503343 del 21/7/99 di Maridipart nel quale veniva affermato che l’intervento delle Forze dell’ordine richiesto dalla stessa il giorno 8/7/99 scaturiva da un “dissidio tra dipendenti” e per tale motivo le si contestava e le si attribuiva

    una condotta turbativa dell’ambiente di lavoro le si contestava di aver distolto le Forze dell’ordine dai

    normali compiti istituzionali per futili motivi e le si attribuiva una condotta turbativa dell’ambiente del

    lavoro con riflessi negativi sull’immagine dell’A.D. e degli altri dipendenti. Con lo stesso foglio la si

    convocava per rispondere di tale contestazione in data 26/7/99, giorno in cui doveva essere sottoposta

    presso il locale Marispedal a visita di idoneità a seguito di stress e stato depressivo provocati da

    questi eventi.

    · Nonostante la dettagliata memoria difensiva 2/8/99 /prod. n.8) e la lettera 1/12/99 indirizzata al Comando in Capo (prod.n.9), l’Amministrazione provvedeva ugualmente ad emettere la sanzione disciplinare del “Rimprovero Scritto” richiamando erroneamente nel provvedimento in data 25/1/2000 (cf, prod. N.10) i criteri di cui all’art. 25, 2° comma C.C.N.L. che prevede tassativi casi di illeciti disciplinari nei quali non rientra nessuno dei comportamenti tenuti dalla D’Amico il giorno 8/7/99 in quanto “ non contrastanti con i doveri di ufficio”. Avverso tale provvedimento disciplinare la ricorrente presentava ricorso in data 11/2/2000 sia all’ufficio del lavoro – Collegio di Conciliazione – che alla Direzione Generale del Personale Civile – Collegio Arbitrale (prod. n. 11). Il Collegio Arbitrale, con provvedimento 7/4/2000, dichiarava estinto il procedimento disciplinare per la mancata osservanza, da parte dell’Amministrazione, del termine di 120 giorni, previsto dall’art 24. 6° comma C.C.N.L. (prod. N.129.

    · A seguito di tutti i fatti dianzi esposti la signora D’Amico cadeva in uno stato depressivo quale risulta documentato dalle certificazioni in atti (V. prod. N. 16 e seguenti), doveva interrompere l’attività lavorativa per far ricorso alle cure ed assistenza di medici specialisti psichiatri e assunzione di terapia psicofarmacologica specifica.

    · Durante la visita medica presso l’Ospedale Militare della Spezia richiesta dalla ricorrente al fine di verificare la causa di servizio di tale malattia, la signora D’Amico veniva riconosciuta permanentemente inidonea al servizio e affetta da malattia non compatibile con l’idoneità alla guida con segnalazione alla Motorizzazione Civile ed alla Prefettura (cf. lettera del 30/9/2000 della Commissione Medico Ospedaliera dell’ospedale Militare della Spezia). Successivamente, con provvedimento del 13/11/2000, veniva qualificata “permanentemente inidonea a qualsiasi proficuo lavoro ed il rapporto veniva risolto per infermità.

    · La Signora D’Amico veniva lasciata a casa senza stipendio, né pensione. Le veniva però inviata l’indennità di buonuscita e l’indennità di mancato preavviso.

    · Per ottenere il pagamento dello stipendio era costretta ad esperire prima azione ex art 700 c.p.c. e poi vari ricorsi per decreti ingiuntivi davanti a questo giudice.

    Esposti cronologicamente gli avvenimenti documentati, occorre ora esaminare le prove testimoniali assunte.

    Relativamente all’episodio avvenuto l’8/7/99 oltre al rapporto informativo del Comandante della Stazione dei Carabinieri per la Marina “Arsenale” prodotto in atti vi è la testimonianza del V. Brigadiere Rodolfo Mariani e dell’appuntato Guerra Santino i quali sono stati sentiti da questo giudice sotto il vincolo del giuramento e mentre il Mariani ha dichiarato di non ricordare bene l’episodio se non che la porta era chiusa e che ha parlato con il Galasso, il Guerra ha precisato che la signora D’Amico li aveva chiamati perché non riusciva ad entrare nel proprio ufficio in quanto durante la sua assenza era stata cambiata la serratura (cf. pag 24 e 26 della trascrizione); che l’intervento non era stato richiesto per dissidio tra dipendenti e che i toni della ricorrente erano pacati e la stessa veniva da lui vista sostare all’ingresso e non poter entrare nella stanza. Tale testimonianza ha quindi comprovato la vericidità di quanto esposto dalla D’Amico e ribaltato quanto dichiarato nel rapporto informativo non avendo la stessa distolto i carabinieri dai normali compiti istituzionali per futili motivi ma perché di fatto le veniva impedito di lavorare.

    Quanto all’ordine di servizio con il quale la signora D’Amico non era più segretaria economa i due carabinieri hanno detto di non averlo visto ma di averne sentito parlare da un sottufficiale presente.

    Il Guerra ha anche precisato “ Che un capo di Marina gli ha fatto vedere un ordine del giorno in cui c’era scritto che per accedere al luogo di lavoro era necessario prendere le chiavi in bacheca, previa firma in apposito registro e poi lasciarle quando termina l’orario di lavoro”.

    Oltre alla testimonianza dei due carabinieri vi è in atti anche la deposizione del teste Scarascia – primo maresciallo della Marina Militare ancora in servizio, vicepresidente del circolo sottufficiali quando la signora era all’economato. Questo ha dichiarato “ che l’8-9 luglio fu chiamato dalla guardiana in quanto c’erano due carabinieri al circolo e ivi giunto trovò il questore Cimino che gli chiese dove fosse l’ordine di servizio della signora di cui peraltro non sapeva nulla per cui telefonò al Presidente Di Gaeta che si trovava a Santo Stefano il quale gli rispose che non c’era niente e che se la sarebbe vista lui, mentre il Cimino trasecolava dicendo di aver visto l’ordine di servizio firmato dal Capo di Stato Maggiore in data 24/6/99 (cf.pag.23 trascrizione)”. Stranamente il teste Scarascia pur essendo Vice Presidente del Circolo non sapeva nulla delle nuove direttive in merito all’accesso al luogo di lavoro. Inoltre ha dichiarato a pag. 31 e 32 che le chiavi l’8/7/99 non erano a disposizione di chi doveva entrare nell’ufficio ma che mentre prima era appese dietro la porta sotto la cassaforte della presidenza, poi non c’erano più”.

    Si tratta quindi di un vero giallo sia in quanto alle chiavi che quanto all’ordine di servizio.

    Sta di fatto che nonostante la D’Amico fosse al secondo giorno di rientro al lavoro dalle ferie nessuno le aveva detto che erano cambiate le norme durante la sua assenza nonostante avesse visto il Presidente, il Tesoriere ed il Questore. Soltanto dopo la chiamata al 112 uno dei carabinieri le comunicò “ che non era più segretaria di allora ma era una segretaria normale e comunque per accedere al luogo di lavoro doveva prendere le chiavi nella hall, previa firma in apposito registro e poi lasciarle quando terminava l’orario di lavoro”.

    Quanto all’ordine di servizio con il quale era stata sollevata dall’incarico riusciva a prenderne visione solo nel pomeriggio.

    Comunque non risultava nell’elenco delle persone autorizzate ad entrare nell’ufficio per cui non aveva una collocazione.

    Soltanto il successivo 9/7/99 gli veniva consegnato l’ordine si servizio n.3 datato 8/7/99 con il quale le venivano attribuite mansioni inferiori di quarto livello ma limitatamente ad alcuni compiti quindi neppure nella sua integrità. Quando alla sostituzione nell’incarico di segretario economo con altro dipendente, Vitale Argentina, coadiutore di IV livello è già stato in precedenza nella motivazione in ordine alla violazione dell’art. 5 delle Disposizioni Ente Circoli di Roma e di come in altre circostanza invece ci si fosse attenuti a tale norma (cf. pag 14 della trascrizione – testimonianza del tesoriere Marzocco).

    Va tuttavia precisato che dalla deposizione del teste Andrenelli è risultato anche che la Vitale “non era capace di svolgere quel lavoro e che non se la sentiva anche per esigenze familiari”.

    Va anche sottolineata la circostanza che detta sostituzione avveniva a seguito di congedo ordinario della D’Amico che dopo un periodo di 20 + 20 giorni di assenza per malattia per cervicobracalgia riconosciutale dall’Ospedale Militare della Spezia, aveva presentato la richiesta di ferie per 25 giorni che le erano state concesse a decorrere dall’8/6/99 senza che fosse evidenziata alcuna esigenza di servizio ostativa.

    Ciò contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa di parte resistente che ne ha giustificato la sostituzione all’evidente fine di assicurare la necessità di concludere la stesura della contabilità del Circolo. Perché allora non le è stato rifiutato il congedo ordinario in quel momento? Perché non le sono state comunicate subito il 7/7 al momento del suo rientro al lavoro dopo le ferie le nuove norme relative alle chiavi della segreteria del Circolo?

    Detta modifica organizzativa pur essendo stata originata secondo la difesa del Ministero della Difesa, dalla circostanza che le precedenti chiavi erano in possesso di tutto il personale e ciò impediva di garantire la riservatezza della documentazione relativa agli iscritti al circolo, doveva essere in ogni caso tempestivamente comunicata a tutti i dipendenti compresa la D’Amico senza che la stessa fosse umiliata al punto di dover sostare nel corridoio e nel locale lavanderia senza che le venisse detto ciò che tutti sapevano.

    Vi è una chiara violazione dell’art 1375 c.c. secondo cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede e degli art. 1,2,3,4,37 e 41 Cost. in cui viene ribadito il rispetto della dignità umana.

    Poco chiaro permane tuttavia nonostante l’espletata istruttoria il fatto che le altre signore dell’ufficio accanto del capo carico e del locale lavanderia continuavano come di consueto ad aprire gli uffici quindi portando le chiavi a casa.

    Probabilmente la risposta a tutto ciò è nelle successive deposizioni testimoniali.

    Il teste Pippi, maresciallo dei carabinieri addetto al centro operativo in Arsenale, incaricato di svolgere le indagini sul Circolo Sottufficiali, alla pag. 30 e seguenti della trascrizione ha precisato che “ la cosa nasce per una lettera che il marito della D’Amico fece”.

    La spiegazione di tutto è in questo esposto dal quale scaturì una relazione dei carabinieri alla Procura Militare dalla quale si evinceva per quanto concerne le feste del circolo una discrepanza tra la spesa rilevata sui libri contabili delle varie associazioni che facevano le feste e l’importo indicato sugli statini di spesa del Circolo che era inferiore, In particolare il teste Pippi ha ricordato un episodio in cui grazie alla signora D’Amico fu trovato un documento di introito generale delle feste del cerimoniale privato dell’anno 1998 che prima non si trovava.

    La teste Botti cameriera del Circolo Sottufficiali dal 92 al 2000 ha dichiarato di essere a conoscenza come tutte le persone del Circolo di sollecitazioni fatte alla D’Amico da parte del colonnello La Motta di modificare i dati di bilancio del Circolo alle quali la ricorrente ha sempre opposto un netto rifiuto (cf. pag 44 e seguenti trascrizione). In particolare la teste ha riferito “ di avere personalmente sentito il Presidente Misiscia ed il Tesoriere Ciciriello dire alla ricorrente di cambiare i bilanci perché continuavano ad arrivare sollecitazioni da parte del colonnello La Motta. Allora la D’Amico ha detto: “io non farò questo fatto perché comunque non è corretto, se voi me lo mettete per iscritto e lo controfirmate magari ci posso anche pensare, diversamente questi sono i registri e lo fate voi” (cf. pagg 45 e 46).

    La Botti su richiesta del giudice ha anche descritto il clima che si era venuto a creare intorno alla D’Amico che mentre in un primo tempo era benvoluta da tutti, poi era stata “massacrata” (cf.pag.56) in quanto veniva accusata di essere una ladra da parte di Angelo Oliva, gestore della mensa del Circolo negli anni 98/99 e di non essere degna del lavoro che faceva da parte di capo Galasso che cercava di fare attorno a lei terra bruciata (cf. pag.52) come avvenne per esempio durante un rinfresco tenuto per un collega che si sposava in cui disse “ quando c’è da mangiare, da prendere soldi lei è sempre presente”. Anche il Presidente Di Gaeta ricorda che la mise in guardia nei confronti della D’Amico dicendo di non fidarsi di lei “perché è un vero serpente…non le posso dire altro”.

    La D’Amico è stata emarginata, isolata ed umiliata da tutti, così ha concluso la sua deposizione la teste Botti.

    Anche il teste Scarascia Vice Presidente del Circolo Sottufficiali quando la signora D’Amico era all’economato ha dichiarato (cf. pagg 7 e seguenti della trascrizione) che la stessa più volte aveva sollecitato il Presidente del Circolo ad attenersi alle regole per la contabilità in quanto “ contrariamente a tali regole alcuni pagamenti di fatture venivano effettuati dal cameriere Oliva e non dall’economa o dal tesoriere”; che aveva anche segnalato la scomparsa di documenti contabili invitando inutilmente il Presidente del Circolo ad intervenire per poter lavorare con serenità (cf. pag 21);

    che l’Oliva accusava apertamente la signora di rubare, che il Capo Galasso diceva che la D’Amico invece di fare l’economa avrebbe dovuto andare a fare “lo spurgo dei pozzi neri”, che l’aiutante Cimino diceva alla signora che doveva limitarsi a fare il lavoro di copiatura delle schede senza valutarne la correttezza amministrativa (pag.25); che il Presidente Di Gaeta l’8/7/99 disse alla D’Amico che era una vipera e che doveva schiacciarla prima”.

    Il teste Andrenelli, Capo di Stato Maggiore a Maridipart dal 92 al 95 ha confermato il rapporto info

  4. Questa è la memoria difensiva che è stata prodotta dall’imputato dinanzi al Giudice di Pace Penale della Spezia dott. Vincenzo Manna in quanto denunciato per aver inviato il seguente fax al Vertice della Marina che ometteva di intervenire presso il Circolo Sottufficiali della Spezia e di Maridipart La Spezia per fermare la barbarie mobbing azionata contro l’economa del Circolo Mirella D’Amico che “non ci stava” a lavorare in modo disonesto:

    “Sent.n. 07/131 in data 28/06/2007
    depositata in cancelleria il 17/07/07
    N. Reg. N.R. 04/948
    N. Reg. Gen. 04/198

    SENTENZA A SEGUITO DI DIBATTIMENTO
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Giudice di Pace della Spezia dr. MANNA Vincenzo ha pronunciato la seguente
    S E N T E N Z A

    nel procedimento penale

    C O N T R O

    CIFELLI Nunzio, nato il 28/07/1948 alla Spezia e residente in largo P. Giacinto n.1 ad isernia, difeso dall’avv. Luigi Pace di fiducia
    PRESENTE

    IMPUTATO

    Del reato di cui agli artt. 81, co1, e 595 c.p. per avere, comunicando con più persone attraverso una lettera, inviata a mezzo fax al “ CSM Marina Amm. Sq. Sergio Biraghi”, al Maricircoli Roma e, per conoscenza, al Circolo Sottufficiali di La Spezia ed avente per oggetto. “ Stefano Togo, Pietro Cimino, Manlio Galliccia, Angelo Donini, Flavio Mascagni, Pasquale Di Gaeta, Nello Cassandra, Antonio Grippa, Ciro Galasso, Amm. Megna, Giodano Cottini (…)”, offeso la reputazione del CIMINO PIETRO e STEFANO TOGO, con le seguenti espressioni, tutte contenute in tale lettera: “ TUTTI DENUNCIATI PENALMENTE affinchè non si abbiano mai più a ripetere simili nefandezze e non possiate mai dire: io non sapevo”, “con lettere inviata con il mio fax in riferimento, segnalavo, in qualità di socio, l’amoralità dei soggetti citati nell’oggetto sopra riportato. Infatti:- sia le menzogne calunniose del CIMINO , inviate al Ministero, in qualità di Questore all’epoca dei fatti, tramite il locale Maridipart (….) teso a rappresentare situazioni calunniose/ingiuriose, quindi non veritiere, nei confronti dell’economa Mirella D’Amico, mia moglie; – sia le falsità elargite a piene mani inviate con fg. n.130 del 22 gennaio 2003 del Presidente del Circolo Stefano TOGO (…..) solo per segnalarvi l’indecenza e l’amoralità di coloro che, vestendo una divisa, non appaiono allo scrivente, e non solo, certamente idonei a rivestire quelle cariche di rappresentanza che pregiudicano la corretta visibilità di una leale Forza Armata che deve essere sempre rispettosa delle leggi e delle persone. La risposta ricevuta con il foglio in riferimento invece, omette volutamente, di dare alla lecita e legittima domanda di un socio, la doverosa ed ONESTA risposta . Si tace o meglio, si preferisce mettere la testa ancora una volta sotto la sabbia, piuttosto che assumere quelle azioni, tutte dovute, per i deprecabili comportamenti dei signori (?) sopra citati. Per questo, permettetemi ancora una volta di esternare il mio disappunto, per aver cercato di svincolare così banalmente alla domanda fattaVi con il fax in riferimento, per segnalarVi doverosamente atti delittuosi ed offensivi della dignità delle persone e delle istituzioni coinvolte a vario titolo. Per questo (……) chiedo l’intervento del C.S.M. Marina Amm. Sergio Biraghi, sollecitando l’applicazione del regolamento di disciplina in ossequio allo stato giuridico di tutti i militari coinvolti a vario titolo nel MOBBING/BOSSING – STRATEGICO/ISTITUZIONALE contro la persona di Mirella D’Amico (…..) dimostrando nei fatti, di averla perseguitata e maltrattata con abuso e viltà, di essere cattivi militari e pessimi cittadini in quanto calunniosi e spergiuri quando non diffamanti, per aver dimostrato, sempre nei fatti, di essere simili alle bestie eseguendo una infame azione per accontentare gli abusi capicciosi di un delinque Ammiraglio (….)”.
    segue la memoria difensiva dell’imputato che il dott. Manna Vincenzo Giudice di Pace della Spezia, NON HA MINIMAMENTE preso in considerazione per motivare la Sua “autorevolissima” sentenza e senza aver accettato i 34 documenti allegati presentati con la memoria, in spregio all’art 24 della Costituzione: “la difesa è un diritto inviolabile”; mentre, la Giurisprudenza, garantisce che ” la difesa dell’imputato non teme limitazione alcuna”. Ma non certamente per il giudice di Pace della Spezia dott. Vincenzo Manna. Segue memoria.-
    “TRIBUNALE della SPEZIA

    Memoria difensiva redatta ai sensi dell’art. 121 c.p.p.

    presentata in udienza al Giudice di Pace dott. Vincenzo Manna

    da Nunzio CIFELLI

    Imputato nel procedimento N. 198/04 R.G.G.d.P e N. 948/04 R.GP.M.

    Ho deciso di redigere la presente memoria affinchè rimangano chiare le motivazioni che mi hanno indotto a scrivere il fax che ha dato origine al presente processo penale. Con essa non intendo esimermi dal rendere dichiarazioni che, considerata la mia naturale tensione ed emotività, potrebbero essere non sufficientemente esaustive e chiarificatrici.

    Premesso che nel rapporto tra p.a. e cittadini assume fondamentale importanza la norma dell’art.4 del Dlg n.288/1944, la quale fornisce tutela al privato destinatario del potere amministrativo sfociato nell’illegittimità (c.d. reazione legittima agli a

  5. Si invia di seguito l’atto d’Appello avverso la Sent. del Giudice di Manna Vincenzo il quale, pur avendo letto, fuori udienza, la sent. n. 294/05 emessa dal Giudice del Lavoro del Tribunale spezzino, finge di non averla letta e non permette che la stessa venga depositata allegata alla memoria difensiva dell’imputato unitamente alla sentenza penale per abuso d’ufficio e falso emessa dallo stesso tribunale integrando con ciò una chiara limitazione della difesa sancita dall’art.24 della Costituzione e, come sanno anche le pietre, ma evidentemente non tutti i Giudici, non può essere limitata da niente e da nessuno in ogni stato e grado del procedimento.
    MA LUI LO HA FATTO, ALLA FACCIA DELL’IMPARZIALITA’ DEL GIUDICE.
    Beppe Grillo dovrebbe mettere in piazza anche le contestazioni verso certa magistratura, vera casta dominante, per la quale evidentemente la giustizia è sempre uguale per gli altri ma non per tutti specialmente per coloro che OSANO denunciare gli abusi di certe Istituzioni COINVOLTE FINO AL COLLO in reati vergognosi verso propri dipendenti colpevoli di essere e di voler rimanere ONESTI.

    TRIBUNALE DELLA SPEZIA
    Sezione Monocratica
    in funzione di Giudice di Appello

    Difensore fiduciario di Nunzio CIFELLI, nato ad Isernia in data 28 luglio 1948 ed ivi residente Largo Padre Giacinto n. 1, propongo

    APPELLO

    avverso: sentenza n. 131/07 del 28 giugno 2007 n. 198/04 Reg. Gen. G.d.P., emessa dal Giudice di Pace della Spezia, Seziona Penale, Dott. Vincenzo MANNA (proc. n.948/04-bis R.G.n.r.), depositata in data 17.07.2007, con la quale è stata inflitta allo stesso condanna alla pena di euro 1.200,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali, per i fatti di cui al capo d’imputazione, oltre al pagamento delle spese processuali.
    Lo stesso, inoltre, è stato condannato al risarcimento dei danni arrecati alle parti civili costituite Pietro CIMINO, Stefano TOGO e Ciro GALASSO, da liquidarsi in separata sede, oltre al pagamento di una provvisionale fissata in euro 5.000,000 (cinquemila) a favore di ciascuna delle parti civili, nonché al pagamento delle spese di costituzione di parte civile liquidate in €. 1.713,00 oltre IVA e CPA e spese generali per ciascuna delle parti Pietro CIMINO e Stefano TOGO ed €. 2.738,00 oltre IVA , CPA e spese generali per la parte civile Pietro GALASSO.
    Ai sensi dell’art. 37, 1° comma D.Lgs. n. 274/2000, si dichiara di impugnare espressamente anche il capo della sentenza relativo alla condanna, anche generica, al risarcimento del danno.

    L’appello si rivolge contro tutti i capi e punti della decisione del Giudice di Pace della Spezia, dei quali chiedo l’integrale riforma per i seguenti

    MOTIVI

    CARENZA, INSUFFICIENZA, CONTRADDITTORIETA’ ED ILLOGICITA’ DELLA MOTIVAZIONE IN ORDINE ALLA PENALE RESPONSABILITA’ DELL’APPELLANTE.

    La sentenza impugnata è affetta da grave ed insanabile vizio della motivazione nella parte in cui non dà contezza dei motivi per i quali il Giudice di prime cure addiviene ad un giudizio di colpevolezza dell’imputato omettendo di tenere in idonea considerazione tutti gli elementi emersi nel corso della complessa istruzione dibattimentale.
    I fatti per cui è processo trovano scaturigine da una comunicazione via fax inviata dall’imputato Nunzio CIFELLI a più uffici e, segnatamente, al CSM Marina Ammiraglio di Squadra Sergio BIRAGHI, al Maricircoli di Roma e per conoscenza al Circolo Sottufficiali di La Spezia, avente ad oggetto una pluralità di militari, tra i quali le odierne parti civili.
    In tale comunicazione via fax venivano usate espressioni forti, accese, rabbiose contro i militari che a vario titolo si erano macchiati di condotte illegittime ed antisociali, poi giudicate dal Tribunale della Spezia, Sezione Lavoro, mobbing nei confronti della ex moglie del Sig. CIFELLI, la Sig.ra Mirella D’AMICO.
    Prima di verificare la portata delle frasi giudicate offensive e le persone a cui eventualmente queste si riferivano, però, è necessario un excursus storico degli antefatti che hanno portato il CIFELLI a scrivere tale missiva ed a indirizzarla ai comandi sopra citati.
    Il corso di tutto il dibattimento, ma anche delle Indagini Preliminari, è stato costellato dal tentativo per la difesa del CIFELLI di far contestare allo stesso l’aggravante di cui all’art. 595, 2° comma c.p. sul fatto derterminato e dalla resistenza oltre ogni ragionevole limite delle parti civili e del PM di non ammettere tale contestazione.
    Ciò perché l’assunto avrebbe comportato l’ammissione della exceptio veritatis per l’imputato che sarebbe stato chiamato a provare la veridicità di quanto andava affermando.
    E tale eventualità spaventava e spaventa tuttora le parti civili.
    Certo, On.le Giudice del Tribunale della Spezia in funzione di Giudice di Appello, perché la storia che si cela dietro questo procedimento penale forse è una della più nere della Marina Militare avvenute nella città della Spezia!
    Il tutto parte da condotte vessatorie, arroganti, intimidatorie, lesive della personalità umana e della dignità di donna poste in essere in varie riprese da appartenenti alla Marina Militare, nei confronti della Sig.ra Mirella D’AMICO, sul posto di lavoro.
    Condotte vergognose ed ignobili che hanno portato la Dott.ssa Fortunato del Tribunale della Spezia, quale Giudice di Lavoro a scrivere nella sentenza n. 294/05: “…ritiene questo Giudice che la Sig.ra D’AMICO sia stata vittima di un processo denigratorio della sua personalità morale attraverso le frasi ingiuriose quali risultano dalle testimonianze precedentemente indicate e i comportamenti così come sono stati descritti che risultano antigiuridici anche singolarmente considerati e a maggior ragione se valutati nel loro insieme rendono evidente la volontà persecutoria in suo danno. Si tratta di condotte contrarie ai più elementari canoni di buona fede e correttezza contrattuale, scientemente realizzate per mortificare la lavoratrice dimostrando che ella conta così poco da non meritare neppure di essere informata su scelte che la riguardano direttamente.”
    Ed ancora : “…è la prima volta che questo Giudice in 20 anni di lavoro vede un accanimento così pervicace nei confronti di una lavoratrice da parte di funzionari della P.A. che si rifiutano anche di adempiere l’ordine del Giudice”.
    Il dibattimento, che era inizialmente partito da un DIKTAT delle parti civili e del Giudice di Pace tendente a vietare tassativamente qualsiasi ammissione probatoria sui fatti che sarebbero stati a fondamento della reazione del Sig. CIFELLI, in realtà, nel prosieguo, proprio su richiesta delle stesse parti civili è stato incentrato proprio sugli argomenti dai quali trae scaturigine la comunicazione via fax del 28.05.2004.
    Dunque, una serie di produzioni vietate al momento dell’ammissione dei mezzi istruttori, sono parse degne di essere analizzate nel corso del dibattimento, ma sono state vietate al solo imputato dal Giudice di prime cure in quanto proposte tardivamente (sic!).
    E ciò è avvenuto anche all’ultima udienza, allorquando l’imputato ha presentato una memoria ex art. 121 c.p.p. con numerosi e fondamentali allegati ed il Giudicante, su eccezione delle parti civili, ha espunto i documenti allegati alla memoria, sul presupposto che tali produzioni apparivano ormai tardive.
    Detta ordinanza ha leso senza dubbio il diritto della difesa dell’imputato volto a provare i fatti riguardanti la propria estraneità al reato e/o circostanze giustificative o attenuanti la propria condotta ed in questa sede se ne denuncia l’illegittimità ex art. 178 lett. c) c.p.p., in riferimento all’art. 179 c.p.p..
    Tornando, però, alla fase dibattimentale in essa sono emersi numerosi elementi che, se debitamente valutati, avrebbero portato ad una sentenza diametralmente opposta a quella che si impugna.
    Per facilità espositiva è bene principiare la narrazione dalla condotta accertata in fase dibattimentale e relativa al Sig. Stefano TOGO.
    a) POSIZIONE DEL SIG. STEFANO TOGO;
    Egli, dal mese di giugno 2001, rivestiva la qualifica di Presidente del Circolo Sottufficiali della Spezia.
    In tale qualità inviava in data 18.02.2004 lettera al CIFELLI (ex sottufficiale della Marina Militare in pensione) di sollecito per il pagamento della quota associativa (come ad altri 207 soci morosi – il CIFELLI era il n. 45).
    In data 25.03.2005, a seguito di un fax di protesta del Sig. CIFELLI ove lo stesso chiedeva spiegazioni della ragione per cui la sua ex moglie D’AMICO Mirella aspettasse ancora giustizia, il Ministero della Difesa chiedeva informazioni al Togo, in qualità di Presidente del Circolo Sottufficiali, di tale malcontento.
    Il CIFELLI, comunque, pagò la sua quota associativa annua (di € 72,00) versando erroneamente 10 euro in più, che gli vennero restituiti.
    In seguito a ciò, in data 28 maggio 2004, il CIFELLI dopo un ulteriore silenzio circa la situazione giuridica e lavorativa della propria moglie, inviò il famoso fax per cui oggi è processo.
    In dibattimento è emerso che il Sig. Stefano TOGO all’epoca in cui era Presidente del Circolo Sottufficiali, inviò una missiva in data 22.1.2003 al Garante per la Privacy, On.le Stefano RODOTA’, nella quale ebbe a dichiarare che nessun certificato medico relativo alla Mirella D’AMICO fosse stato mai inviato all’INAIL, contrariamente al vero, poiché è stato accertato che il Circolo Sottufficiali quanto era Presidente il Sig. Nello CASSANDRA trasmise indebitamente n. 65 certificati medici riguardanti la D’AMICO all’INAIL determinando una violazione della legge sulla privacy ed il successivo rigetto della domanda di infortunio professionale dalla stessa lamentato.
    Su tale episodio vi è stata anche una denuncia penale della Sig.ra D’AMICO, che in passato aveva rivestito il ruolo di Segretaria Economa presso il Circolo Sottufficiali, contro i responsabili dello stesso e segnatamente contro Nello CASSANDRA e Stefano TOGO.
    Dalle risultanze di tale procedimento penale è emerso che effettivamente le condotte lamentate dalla D’AMICO e dal CIFELLI furono tenute, solo che mentre la posizione del CASSANDRA (in relazione al reato di cui all’art. 35, co 2, L. 676/96, attualmente previsto dall’art. 167, co 2, D.Lgs. 196/2003) fu archiviata per intervenuta prescrizione per decorso del tempo, quella del TOGO fu archiviata per insussistenza del fatto poiché secondo il GIP nelle due lettere (6.2.2001 e 27.3.2001) non vi sarebbe stato alcun riferimento ai certificati medici allegati.
    Dunque, è stato accertato che l’indebita trasmissione di certificati medici all’INAIL vi fu da parte del Circolo Sottufficiali e che il TOGO affermò, nella risposta, una circostanza non vera, negando l’evento, anche se non lo fece dolosamente.
    Il fatto che ciò non sia stato considerato penalmente rilevante da parte del GIP non vuol dire che il TOGO non abbia commesso un errore nell’inviare tale comunicazione al Garante per la protezione dei dati personali che ne chiedeva notizia, innescando la rabbia del Sig. CIFELLI che sapeva che l’invio dei n. 65 certificati medici all’INAIL era avvenuto.
    Conseguentemente, il fatto ingiusto altrui determinato da una comunicazione falsa avente natura colposa e non dolosa (il TOGO, infatti, avrebbe potuto chiedere al CASSANDRA se l’invio dei certificati fosse effettivamente avvenuto, visto che quest’ultimo era il precedente Presidente del Circolo al momento dell’invio degli stessi) circa la situazione della Sig.ra D’AMICO, è stato provato.
    Tale avvenimento, però, non è stato ancora completamente risolto in sede penale dal momento che anche il Garante per la Privacy, dopo la risposta fornita dal TOGO, ha denunciato il Circolo Sottufficiali per le false dichiarazioni rese, ai sensi dell’art. 371 bis c.p. ed attualmente pende procedimento penale in fase di Indagini Preliminari contro il Sig. TOGO Stefano, a seguito dello stralcio disposto dal PM dopo la richiesta di avocazione delle indagini presso la Procura Generale presso la Corte di Appello di Genova, come dimostra la produzione fatta all’udienza del 28 giugno 2007.
    L’evento rappresentato dal diniego dell’invio dei n. 65 certificati medici presso l’INAIL di Roma, intervenuto nel pieno di una disputa giudiziaria che ha visto contrapposti la Marina Militare e la Sig.ra D’AMICO, la prima accusata di comportamenti lesivi della dignità di donna e lavoratrice nei confronti della Sig.ra D’AMICO, è parso al Sig. CIFELLI, marito che ha subìto indirettamente gli effetti di tali condotte, un ulteriore tassello per denigrare e ledere la dignità della propria moglie.
    E’ parso cioè un preciso atto di prevaricazione da parte del TOGO negare l’evidenza della trasmissione di n. 65 certificati medici che nessun altro a parte il Circolo Sottufficiali, aveva potuto inviare a Roma.
    Tale condotta è sicuramente da inquadrare nel fatto ingiusto altrui di cui all’art. 599, 2° comma, che ha generato lo stato d’ira del CIFELLI a seguito del quale è stata inviata la comunicazione via fax per cui è processo.
    L’evento scatenante di questo stato d’ira è rappresentato dalla richiesta della quota associativa e dal chiassoso silenzio a seguito del primo fax ove si chiedevano chiarimenti da parte del CIFELLI in merito alla situazione della moglie.
    b) POSIZIONE DEL SIG. PIETRO CIMINO;
    Passando alla posizione della parte civile Pietro Antonio CIMINO, v’è da dire che costui era Questore del Circolo Sottufficiali, cioè era il responsabile della disciplina all’interno del Circolo.
    Dalla istruzione dibattimentale è emerso che il giorno 08.07.1999 la Sig.ra D’AMICO, rientrata da un lungo periodo di malattia, trovò chiusa la porta del proprio ufficio per ordini superiori (all’uopo si precisa che il procedimento penale pendente nanti il Tribunale Collegiale della Spezia contro Pasquale DI GAETA, per abuso d’ufficio e riguardante proprio questo episodio, ove la sig.ra D’AMICO era parte civile, si è chiuso in primo grado con la condanna dello stesso), e che la medesima era stata sostituita nelle sue funzioni di Segretaria Economo da persona avente qualifica inferiore e senza la notifica di un idoneo provvedimento dell’Autorità.
    A seguito di questo alterco verbale tra la D’AMICO ed il CIMINO, davanti al Sig. CIFELLI, il CIMINO ha redatto una relazione sui fatti avvenuti in data 8 luglio 1999 attribuendo alla D’AMICO condotte non rispondenti ai doveri di un dipendente e facendo così avviare un procedimento disciplinare a carico della stessa, conclusosi in prima istanza con la sanzione del rimprovero scritto.
    Tale relazione venne inviata al comando in Capo dell’Alto Tirreno, allo Stato Maggiore della Marina Militare e all’Ospedale Militare della Spezia, rendendo di pubblico dominio fatti lesivi dell’onore e della reputazione della Sig.ra D’AMICO.
    Successivamente, in sede di opposizione, il provvedimento venne invalidato.
    E’ indubbio che la Sig.ra D’AMICO venne umiliata la mattina dell’8 luglio 1999 davanti al marito ed ai colleghi, presenti ai fatti ed in seguito la relazione del CIMINO calpestò la dignità della donna con la diffusione via fax dello scritto mediante invio presso gli Uffici della Marina Militare.
    Inoltre, la sanzione disciplinare applicata a seguito della relazione è stata annullata.
    Il teste Tommaso SCARASCIA, all’epoca Vice Presidente del Circolo, riferisce circostanze importanti per la totale comprensione della vicenda.
    Riferisce di aver visto che il CIMINO e la D’AMICO litigavano animatamente l’8 luglio 1999 poiché la stessa non poteva rientrare nel suo ufficio in quanto il proprio nome non appariva più sulla porta dello stesso.
    Lo SCARASCIA dichiarava che nell’occasione neppure lui era stato informato dell’ordine di servizio che sostituiva la D’AMICO.
    Poi aggiunge una circostanza inquietante di cui il Giudice di Pace non fa parola, ma che in realtà è importante nella comprensione di tutto l’ambiente in cui è andato maturando il mobbing contro la D’AMICO: “Nei mesi di Novembre e Dicembre la D’AMICO non voleva registrare feste non fatte regolarmente. CIMINO, GALASSO ed altri parlavano male per questo della D’AMICO” (si veda deposizione teste SCARASCIA).
    Ciò dimostra l’esistenza di un ambiente ostile nei confronti della prima, un ambiente in cui sono maturate le condotte vessatorie ed arroganti che hanno dato vita al mobbing poi accertato con la sentenza del Giudice del Lavoro.
    Una ostilità nei confronti della Sig.ra D’AMICO di cui il Sig. CIFELLI era perfettamente a conoscenza, avendo lavorato anch’egli nel solito ambiente ed avendo seguito in prima persona tutte le vicissitudini della propria moglie.
    Anche questo stato cose relativo alla posizione dell CIMIINO costituisce senza dubbio fatto ingiusto altrui in grado di determinare uno stato d’ira del CIFELLI per l’applicazione della fattispecie di cui all’art. 599, 2° comma c.p..
    La mancanza di qualsiasi valutazione del giudice di primo grado, pur in presenza di certificazioni allegate agli atti, sullo stato psichico dell’odierno appellante comporta una superficialità nel ritenere sic e simpliciter la propria penale responsabilità, senza alcuna valutazione circa lo stato di ira determinato dai fatti ingiusti pienamente provati agli atti del processo.
    c) POSIZIONE DEL SIG. CIRO GALASSO;
    Infine, per quanto riguarda la posizione della parte civile Ciro GALASSO, già menzionata in parte nelle dichiarazioni testimoniali del teste Tommaso SCARASCIA, v’è da dire che dal dibattimento è altresì emerso che sempre in relazione alla vicenda della chiusura a chiave della porta dell’Economato e della sostituzione della D’AMICO con la Sig.ra Argentina VITALE, il GALASSO non provvide a notificare l’ordine di servizio con la consegna delle nuove chiavi, rendendosi parte di tutti quei motivi che hanno spinto il Sig. CIFELLI ad accumulare uno stato d’ira tale sfociato nell’invio del fax del 28 maggio 2004.
    Dunque, l’acrimonia e la maldicenza provate del Sig. GALASSO nei confronti della Sig.ra D’AMICO unitamente alla circostanza della mancata notifica dell’ordine di servizio di consegna delle nuove chiavi e tutto ciò che ne è seguito, in termini di discussione la mattina dell’8 luglio 1999 dietro la porta dell’Economato e della conseguente segnalazione del CIMINO per l’applicazione delle sanzione disciplinare, sono avvenimenti che hanno contribuito in maniera incisiva ad esaverbare gli animi, creando nel marito della Sig.ra D’AMICO, odierno appellante, un profondo stato d’ira.
    Anche per questo terzo episodio, quindi, è agevole ravvisare lo stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, ai sensi dell’art. 599, 2° comma c.p., come per i due precedenti.
    d) GIURISPRUDENZA RIGUARDANTE L’ISTITUTO DELLA PROVOCAZIONE, NELL’ART. 599, 2° COMMA C.P..
    Quanto all’istituto della provocazione la Giurisprudenza della Suprema Corte ha sancìto che per ingiustizia del fatto altrui, questa deve intendersi in senso ampio sino a ricomprendervi non solo fatti antigiuridici, ma altresì fatti antisociali dal momento che “fatto ingiusto è quello intrinsecamente illegittimo, ossia contrario alle norme del vivere civile, in antitesi con i principi dell’ordinamento o del diritto naturale” (Cass. Pen. V Sez. 27.02.98, Costanzo, SS.UU., 1999, 881).
    Inoltre, “l’ingiustizia non deve essere valutata con criteri restrittivi, cioè limitatamente ad un fatto che abbia una intrinseca illeggitimità, bensì con criteri più ampi che comprendono anche fatti che la coscienza etica della collettività riprova in un certo momento storico”.
    Tant’è che il fatto ingiusto può ravvisarsi anche nell’esercizio di un diritto tutte le volte che è compiuto, come per qualsiasi altra attività, in modo scorretto, sleale, aggressivo.
    Ovvero, ancora, può determinare il fatto ingiusto “anche un fatto omissivo, quale il silenzio, ove si concreti nella frustrazione di un’aspettativa che la coscienza etica della collettività riconosce degna di considerazione, in quanto attiene al normale svolgimento dei rapporti sociali”.
    Quella di fatto ingiusto è nozione non univoca secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, potendosi prospettare diverse soluzioni con riferimento ai presupposti per la sua configurabilità, per esempio, nel caso di comportamenti sostanzialmente legittimi, ma viziati nella forma ovvero anche nel caso di comportamenti scriminati dalla presenza di cause di giustificazione, etc…
    Pertanto, nella nozione di fatto ingiusto, alla luce della univoca giurisprudenza della Cassazione può farsi ricomprendere senz’altro il mobbing patito dalla Sig.ra D’AMICO, nonché tutti i comportamenti tenuti dalle odierne parti civili e di cui si duole il Sig. CIFELLI nel fax 28.05.2004.
    Inoltre, il presupposto dell’ingiustizia non viene meno anche se l’offesa sia recata a terzi, purché sia giustificata dai rapporti personali fra essi e l’autore dell’offesa che si assume scriminata (Cass. Pen. V^ 18.03.02, Fanfani, DIR GIUS 2003, 5,104).
    Dunque, il presupposto di applicabilità dell’art. 599, 2° comma c.p. viene applicato anche quando l’ingiustizia della condotta altrui riguardi un familiare del soggetto e l’autore dell’offesa che si assume scriminata.
    Si potrebbe obiettare che il cennato articolo aggiunge che tale reazione deve avvenire subito dopo il fatto ingiusto, ma la più recente giurisprudenza della Cassazione ha sancito che “Proprio la locuzione prescelta dal legislatore, in sostituzione di quella prevista dal codificatore (“impeto d’ira o intenso dolore”), consente invece di ritenere che il legislatore del 1930 ha inteso che lo stato d’ira può ravvisarsi in quella condizione psichica complessa, prodotta da una violenta alterazione dell’emozione e dei fattori che l’abbiano scatenata e delle note caratteriali di ciascuno – per un apprezzabile lasso di tempo di tempo non si può intendere lo stato d’ira solamente quale sfogo momentaneo e simultaneo al fatto che l’ha causato.” (Cass. Sez. V° Pen. n. 8097/2007).
    A seguito di questi eventi, ricollegabili ai contrasti avuti dalla D’AMICO nell’ambiente di lavoro ed alle condotte di mobbing subite la stessa ha visto il proprio stato di salute peggiorare progressivamente mediante dei micro- infarti lacunari al cervello nonché l’insorgere della patologia di Disturbo Post-Traumatico da stress; il figlio della coppia, il Sig. Romolo CIFELLI ha interrotto gli studi; alla Sig.ra D’AMICO giunsero numerosi avvertimenti dei superiori di lasciar perdere la causa di mobbing contro la Marina Militare; il Dott. GUARIGLIA insigne neurologo ha riscontrato nel CIFELLI un peggioramento delle condizioni di salute, come risulta dai certificati allegati agli atti del processo, dovuto ad una situazione da stress per la grave situazione familiare che lo ha portato ad avere idee ossessive sulla condizione della propria moglie.
    e) PRESENZA AGLI ATTI DEL GIUDIZIO DI CERTIFICAZIONI MEDICHE ATTESTANTI UNO STATO PSICHICO DELL’IMPUTATO TALE DA FAR SORGERE DUBBI SULLA PROPRIA CAPACITA’ DI INTENDERE E DI VOLERE AL MOMENTO DEL FATTO.
    In particolare, in data 15.03.2004, cioè prima del fax datato 28 maggio 2004, il Dott. GUARIGLIA scrive: CIFELLI NUNZIO SOFFRE DI DISTURBI DELL’UMORE E DEL COMPORTAMENTO IN RELAZIONE AI FATTI CONTINGENTI. PRESENTA ALTERAZIONI EMOTIVE CON TENDENZA ALLA IRRITABILITA’ ED AL COMPORTAMENTO IMPULSIVO. L’IDEAZIONE E’ IMPRONTATA A DANNEGGIAMENTO DA PARTE DI TERZI NEI CONFRONTI DELLA FAMIGLIA E DELLA MOGLIE IN PARTICOLARE. RIFERISCE PROBLEMI DELLA MOGLIE DIPENDENTI DA RAPPORTI ALTERATI CON SUPERIORI, NELL’AMBIENTE DI LAVOTO. Esame neurologico: INSTABILITA’ IN ROMBERG, ROT VIVACI, ASSENTI SEGNI FOCALI, CALO DELLE FUNZIONI COGNITIVE (MEMORIA A BREVE TERMINE). Successivamente, in data 21.08.2004 il Dott. GUARIGLIA emette la seguente diagnosi: CRISI DEPRESSIVO ANSIOSA DI TIPO REATTIVO. RIFERISCE STATO DI ESASPERAZIONE PER LE VICENDE GIUDIZIARIE DELLA MOGLIE, LA QUALE SI TROVA IMPLICATA IN UNA CONDIZIONE DI “MOBBING” SUBITO SUL POSTO DI LAVORO. E’ EVIDENTE UN ATTEGGIAMENTO RIVENDICATIVO ED IDEAZIONE DI DANNO E ROVINA. Infine, sempre il Dott. GUARIGLIA in data 20.09.2004 certifica: PRESENTA DISTURBI DEL COMPORTAMENTO E DELLA IDEAZIONE DI TIPO PSICOTICO IDEE DI DANNO. TALE DISTURBO E’ STATO SLATENTIZZATO DALLA SITUAZIONE GIUDIZIARIA IN CUI LA MOGLIE SI TROVA IMPLICATA (SI TRATTA DI UN ACCERTAMENTO PER PRESUNTO MOBBING). LA MOGLIE RIFERISCE CHE IL CONIUGE NON HA PRATICATO LE TERAPIE PRESCRITTE ADDUCENDO COME MOTIVO LA NON ESISTENZA DELLA PATOLOGIA DIAGNOSTICATA. CONTINUA LA CONDIZIONE DI INSONNIA, ANSIA, DEPRESSIONE, DISTURBI DEL CARATTERE E DEL COMPORTAMENTO, ATTEGGIAMENTO RIVENDICATIVO.
    Il 30 settembre 2004 il Dott. Remo BASTAGLI, specialista in neurologia e psichiatria, dopo aver visitato l’odierno appellante, scrive la seguente relazione sullo stato psichico del Sig. CIFELLI, anch’essa allegata agli atti del procedimento: “Ho visitato il Sig. Nunzio CIFELLI – Egli presenta a partire dal 1999, in conseguenza di una clamorosa vicenda di lavoro e giudiziaria interessante la moglie e imperniata su conflittualità in ambiente lavorativo e mobbing, un progressivo sviluppo psicopatologico che, iniziato con uno stato depressivo reattivo, è passato in una conclamata depressione agitata, con successiva comparsa di elementi delibabili e infine francamente deliranti, a contenuto di rivendicazione, persecuzione, danneggiamento con mezzi legali, riferimento malevolo. Sono emerse ingravescenti pulsioni aggressive verbali e fattuali, sempre più difficili da controllare. L’esame psichico attuale evidenzia una grave depressione affettiva, con agitazione (anche in famiglia), insonnia ostinata, perdita degli interessi abituali, inappetenza, calo della spinta sessuale, difficoltà di attenzione – concentrazione aggressive verbali e fattuali insufficientemente controllate, idee dominanti a carattere delibabile e occasionalmente delirante, a tipo di rivendicazione, persecuzione, nocumento – danneggiamento con mezzi legali. Le capacità cognitive sono settorialmente deteriorate in modo grave. Il comportamento è congruo con la patologia in atto. CONCLUSIONI DIAGNOSTICHE 1°) il P. è affetto da almento tre anni da DEPRESSIONE MAGGIORE, CON SPUNTI DELIRANTI DI RIVENDICAZIONE, PERSECUZIONE, DANNEGGIAMENTO. NOCUMENTO CON MEZZI LEGALI; 2°) Tale malattia menoma a grado ELEVATO la sua capacità di intendere e di volere.”
    Tale documentazione allegata agli atti del giudizio non è stata completata , per decisione del Giudice di Pace su eccezione delle Parti Civili, dall’audizione dibattimentale dei due medici specialisti redattori degli atti, benchè gli stessi fossero stati regolarmente indicati come testimoni nel processo, comportando un’ambiguità sul piano processuale e probatorio molto evidente: da una parte i documenti dimostrano uno stato di sofferenza psichica del CIFELLI, di depressione grave con spunti deliranti ed ossessivi, e dall’altro il Giudice ha preferito non approfondire tali elementi, mediante idonea audizione degli specialisti e disponendo conseguentemente d’ufficio ex art. 508 c.p.p. opportuna perizia psichiatrica.
    E’ vero, la stessa non è stata chiesta dai difensori dell’imputato nel corso del giudizio di primo grado, forse per riluttanza del Sig. CIFELLI a sottoporsi a tale esame, o forse per decadenza dopo la fase delle richieste istruttorie.
    Sta di fatto che essa perizia, si imponeva ontologicamente nel momento in cui le suindicate produzioni sono state acquisite agli atti del processo per il noto principio di oralità ed immediatezza contenuto nel nuovo codice.
    Quindi, allo stato persiste il dubbio che l’imputato fosse stato pienamente capace di intedere e di volere al momento del fatto o che la patologia riscontrata nello stesso lo abbia portato inesorabilmente ad avere reazioni d’ira abnormi anche a distanza di tanti anni dal fatto.
    SI FA ESPLICITA RICHIESTA AL GIUDICE D’APPELLO, AI SENSI DELL’ART. 603 C.P.P., DI AMMETTERE UNA RINNOVAZIONE ISTRUTTORIA, DISPONENDO PERIZIA PSICHIATRICA SULL’IMPUTATO, AL FINE DI CHIARIRE SE LO STATO PSICHICO DELLO STESSO AL MOMENTO DEL FATTO FOSSE STATO TALE DA COMPORTARE UNA PARZIALE O TOTALE INCAPACITA’ DI INTENDERE O DI VOLERE.
    Inoltre, nella propria escussione testimoniale la Sig.ra D’AMICO ebbe a dichiarare che lei ed il marito avevano chiesto un mutuo per ristrutturare casa ed invece, a causa dei procedimenti di lavoro, molto impegnativi economicamente, la stessa aveva ceduto psicologicamente, poiché le erano saltati i nervi (i soldi chiesti alla banca per il mutuo erano serviti per pagare quasi completamente le spese di giustizia ed in più la stessa era stata licenziata perchè giudicata inidonea a nessun proficuo lavoro); il marito che si era occupato di tutto poiché la stessa era diventata una larva ed aveva seguito tutte le vicende personalmente fino allo sfaldarsi dell’unità familiare, reagiva con rabbia e frustrazione a questo stato di cose (vedasi testimonianza Sig.ra D’AMICO).
    Infatti, dopo il fax del maggio 2004 la Sig.ra D’AMICO, visto che con il suo comportamento il marito aveva “prestato il fianco ai suoi nemici”, dichiarò di aver chiesto – per tale motivo – la separazione che avvenne nel settembre 2004 (ulteriore ed indiscutibile danno per il Sig. CIFELLI).
    La Sig.ra D’AMICO nella sua sofferta testimonianza ha ricordato con angoscia i diversi incontri avuti con gli avvocati prima del giugno 2004 per la causa di lavoro, che aumentarono inesorabilmente la tensione all’interno della famiglia al ricordo dei fatti accaduti.
    Tutto questo stato di cose, dipendenti dalle vicende lavorative della Sig.ra D’AMICO quale Segretaria Economa del Circolo Sottufficiali, è stato sofferto dal Sig. CIFELLI in maniera violenta tale da sviluppare un profondo stato di rabbia che si manifesta ogni volta che lo stesso entra in contatto con l’Amministrazione della Marina Militare ove erano dipendenti il medesimo e la moglie.
    Non appare peregrino dunque parlare nel caso di specie di uno stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, poiché l’elevato quantitativo delle informazioni assunte in tale processo ove sono stati protagonisti, tra gli altri, proprio le odierne parti civili, porta a ritenere che il CIFELLI avesse più di un motivo per provare rabbia verso la Marina Militare ed i propri rappresentati che avevano agito nelle diverse fasi della vicenda de qua.
    Dunque, la reazione d’ira dell’odierno appellante scatenata dall’invio della richiesta della quota associativa, acutizzatasi nel momento in cui, a fronte di una richiesta di chiarimenti circa la mancata tutela della propria moglie, e del conseguente stato di assoluto silenzio dell’Amministrazione, rappresenta causa più che sufficiente per ritenere l’applicazione dell’art. 599, 2° comma c.p..
    Anche perché per comprendere che i fatti di mobbing contro la lavoratrice sono fondati e gravi, basta leggere la sentenza del Tribunale della Spezia in funzione di Giudice del Lavoro.
    Tali soprusi, angherie, vessazioni e prevaricazioni hanno colpito nel pieno il tessuto connettivo della famiglia del CIFELLI determinandone la disgregazione materiale e morale.
    L’invio del fax del 28.05.2004 è stata la sola reazione che il CIFELLI in quel momento di rabbia è riuscito a realizzare.
    Una reazione dovuta e determinata da un profondo e comprensibile (e per certi versi giustificabile) stato d’ira per fatti realmente accaduti e documentati puntualmente nel processo!
    f) DIVERSA LETTURA DEL FAX DATATO 28 MAGGIO 2004;
    Inoltre, v’è da dire che il Giudice di Pace non ha voluto prendere in considerazione la lettura fornita dalla difesa del CIFELLI tendente a dimostrare che il fax datato 28 maggio 2004, invero, non va letto in un’ottica unitaria, ma diviso per punti.
    Nulla quaestio sulla circostanza che nell’oggetto del fax sono menzionate undici persone, tra le quali le odierne parti civili.
    Nulla quaestio sul fatto che si dà atto da parte del CIFELLI che tali individui siano stati “TUTTI DENUNCIATI PENALMENTE affinché non si abbiano mai più a ripetere simili nefandezze e non possiate dire: “io non sapevo”.
    Difatti, tale circostanza corrisponde al vero poiché i soggetti sopra indicati erano stati denunciati: in seguito una buona parte dei procedimenti sono stati archiviati per varie ragioni (insussistenza del fatto, inesistenza del dolo, prescrizione del reato etc…).
    Un procedimento, quello contro DI GAETA Pasquale si è concluso con la condanna dell’imputato per abuso d’ufficio.
    Proseguendo nell’articolazione del fax il CIFELLI passa a criticare aspramente le condotte dei singoli: in primo luogo del CIMINO accusato di aver detto menzogne calunniose inviate al Ministero contro la propria moglie in qualità di Questore all’epoca dei fatti.
    Tale episodio è da ricollegarsi con quello esposto precedentemente, conclusosi con l’applicazione della sanzione disciplinare del rimprovero scritto alla D’AMICO e poi con l’annullamento della stessa sanzione in fase di opposizione.
    In secondo luogo, l’odierno appellante, rivolge critiche anche al TOGO per l’episodio della negata trasmissione dei n. 65 certificati medici all’INAIL di Roma; per tale circostanza pende procedimento penale in fase di Indagini Preliminari a seguito di un esposto presentato dal Garante per la Protezione dei Dati Personali contro il Circolo Sottufficiali della Spezia.
    Dopo tali specifici riferimenti il CIFELLI lamenta che ancora una volta non è stata fornita una risposta avanzata nel fax precedente in data 25 marzo 2004 alla propria legittima domanda, in quanto l’Amministrazione ha preferito ancora una volta “mettere la testa sotto la sabbia”.
    Infine, il fax termina con l’ultima parte che appare staccata da quella iniziale poiché rivolta ad un numero indeterminato di persone.
    In tale parte il CIFELLI, nel chiedere l’intervento del CSM Marina, Ammiraglio di Squadra Sergio BIRAGHI, sollecita il regolamento di disciplina “in ossequio allo stato giuridico di tutti i militari coinvolti a vario titolo nel MOBBING/BOSSING – STRATEGICO/ ISTITUZIONALE contro la persona di Mirella D’AMICO, economa del suddetto circolo e socia dello stesso, dimostrando nei fatti di averla perseguitata e maltrattata con abuso e viltà, di essere cattivi militari e pessimi cittadini quando calunniosi e spergiuri quando non diffamanti, per avere dimostrato, sempre nei fatti, di essere simili alle bestie eseguendo una infame azione per accontentare gli abusi capricciosi di un delinquente Ammiraglio.”
    Da quanto scritto, l’unico che avrebbe dovuto dolersi di questa ultima parte della comunicazione via fax era l’Ammiraglio Manlio GALLICCIA pesantemente tirato in ballo, ma non l’ha fatto, forse proprio per il fair play che contraddistingue gli alti ufficiali e per motivi di opportunità, visto che la sentenza del Giudice del Lavoro aveva già attirato troppe attenzioni sugli ambienti della Marina, ed un processo penale anche se a carico del Sig. CIFELLI, avrebbe fatto altra pubblicità negativa, perché in fondo, la Sig.ra D’AMICO era stata realmente vittima di abusi nell’ambiente lavorativo.
    In buona sostanza, in tale inciso del fax per cui è processo l’odierno appellante considera tutti i miltari coinvolti a vario titolo alla vicenda del MOBBING/BOSSING – STRATEGICO/ISTITUZIONALE contro la propria moglie cattivi militari e pessimi cittadini e li paragona alle bestie seguendo la definizione dell’insigne Magistrato di Cassazione – Consigliere Sez. Lav. Università di Pisa, il Dr. Fausto NISTICO’.
    Quest’ultimo, a proposito del mobbing, come definizione della sociologia del lavoro, ha scritto: “Homo homini lupus, Mobile vulgus, l’orda minacciosa delle plebe; in inglese to mob, l’assalto dell’orda, l’accerchiamento, la pressione, non a caso una facccenda di animali che in gruppo ne circondano uno (quasi sempre il più forte, il concorrente pericoloso), per allontanarlo, per isolarlo, per costringerlo alla fuga. Il mobbing è la condizione di stress intenzionalmente provocata dal leader o dai suoi pretoriani, ovunque vi sia una gerarchia, naturale od imposta dal più prepotente”.
    Chi può non essere favorevole con la definizione che ha dato il Prof. NISTICO’ del mobbing?
    Chi può non considerare coloro che si macchiano di una condotta così spregevole simili alle bestie, per creare una condizione di isolamento e stress sul posto di lavoro nei confronti di un altro lavoratore?
    E parlare in generale di coloro che hanno commesso il mobbing contro la propria moglie a vario titolo in questi termini, senza peraltro fare nomi o riferimenti precisi, può essere considerata una offesa all’onore ed alla reputazione delle odierne parti civili?
    Questa difesa ha affermato che se si sono sentiti colpiti, coinvolti, chiamati in causa è perché evidentemente avevano una qualche responsabilità nella vicenda, poiché dall’ultima parte del fax non è dato intendere a chi il CIFELLI si riferisse: “TUTTI I MILITARI COINVOLTI A VARIO TITOLO NEL MOBBING/BOSSING-STRATEGICO/ISTITUZIONALE contro la persona di Mirella D’AMICO…” nient’altro!
    Questa difesa ha sostenuto, vanamente, inoltre, che il Sig. Ciro GALASSO, oltre ad essere citato nell’oggetto del fax, non viene più citato in tutto il contenuto dello stesso e che, quindi, di alcuna offesa possa eventualmente lamentarsi.
    Il Giudice di Pace ha condannato ugualmente il Sig. CIFELLI a risarcire il danno nei confronti del Sig. Ciro GALASSO, quantificando la provvisionale in € 5.000,00 oltre le spese di costituzione di parte civile, pur non essendo mai stato menzionato nel testo della comunicazione via fax il Sig. GALASSO, a parte che nell’oggetto.
    Invero, si contestano in toto i motivi della sentenza che hanno portato il Giudice di Pace a ritenere colpevole del reato ascritto il Sig. CIFELLI.
    In realtà, più che di un sereno esame di tutti gli elementi emersi in primo grado, la sentenza del Giudice di prime cure appare un atto di accusa nei confronti del CIFELLI, poiché vengono presi solo gli elementi favorevoli alla tesi dell’Accusa e delle Parti Civili ed invece vengono sistematicamente ignorati tutti quelli a favore della tesi della difesa dell’imputato.
    Indicativa è la parte della motivazione in cui, a contrasto con quanto argomentato dallo scrivente difensore in discussione, il Giudicante con un accenno di polemica ha scritto: “il difensore ha motivato tale richiesta (che non vi sarebbe cioè collegamento tra le odierne parti civili e la seconda parte del fax n.d.r.) sostendendo che le espressioni più offensive riportate proprio in tale parte della lettera, non sono da collegare ai soggetti elencati nell’oggetto, ma sono semplicemente frasi che riportano una definizione di mobbing, pronunciate da un magistrato militare, prof. Nisticò, che avrebbe paragonato coloro che si macchiano di tale comportamento alle bestie; sempre in base a tale argomentazione il capoverso in discussione dovrebbe essere letto nel senso che coloro che si comportano in tal modo (ovvero tengono comportamenti che si traducono in mobbing nei confronti di un collaboratore) sono simili alle bestie; pertanto senza un preciso riferimento alle persone indicate nell’oggetto. Tanto che lo stesso difensore, partendo da tale osservazione, è giunto ad affermare che se qualcuno ha letto quelle espressioni come riferite alla propria persona sta a significare che…ha la coda di paglia. A tal proposito questo Giudice osserva che, quanto meno a livello formale, quando si riporta una definizione dettata da terza persona, è buona norma virgolettare la stessa, e quanto, meno, farla seguire dal nominativo dell’autore, cosa che, nella circostanza non è stata effettuata. Da quanto sopra deriva che se, in effetti, le espressioni riportate nell’ultimo capoverso, sono opera del citato professore, il CIFELLI le ha fatte proprie, inserendole nella lettera dallo stesso predisposta. Non possono esserci dubbi a parere di questo Giudice, circa il riferimento di tali espressioni ai soggetti elencati in oggetto e ciò per le argomentazioni già riportate che evidenziano, nell’impostazione di tutta la lettera, il costante collegamento delle varie espressioni a tutti i soggetti oggetto di specifica denuncia ed elencati inizialmente: quanto sopra, ovviamente, a prescindere dai riferimenti specifici, come nel caso del TOGO e del CIMINO.”(vedasi motivazione sentenza impugnata).
    Tale argomentazione inserita in parte motiva denota un pregiudizio del Giudice di Pace nell’affrontare serenamente gli elementi emersi dal dibattimento, poiché il percorso logico-giuridico è intriso di preconcetti e conclusioni apodittiche, che ne minano fortemente il sillogismo.
    In effetti, per ragioni difensive questo difensore con forza ha sostenuto nella propria arringa finale la non riferibilità oggettiva dell’ultima parte del fax alle odierne parti civili, dal momento che si parla genericamente di tutti i militari coinvolti a vario titolo nel mobbing (dunque sia quelli che risultarenno colpevoli dalle indagini penali, sia quelli che ne rimarranno fuori poiché reponsabili solo civilisticamente), ma nessun accenno viene fatto ai denuncianti.
    L’espressione usata dallo scrivente avvocato, che se le odierne parti civili se ne sono lamentate vuol dire che hanno “la coda di paglia” appare libera espressione dell’esercizio del diritto di difesa e di puntuale svolgimento del mandato professionale.
    Conseguentemente, questo difensore ripeterà se necessario tale similitudine fino alla Cassazione senza timori ed esitazioni.
    Inoltre, affermare che il CIFELLI avrebbe dovuto virgolettare il paragone di coloro che si macchiano di condotte vessatorie alle bestie è indice di una concezione illiberale della libertà di opinione e di pensiero nel quale il cittadino schiacciato dal potere dello Stato, deve riferire le idee degli altri, attribuendole agli stessi, non avendo la possibilità di fare propri concetti di uso comune come il significato di mobbing.
    Il CIFELLI avrebbe dovuto dire che tutti i militari coinvolti nel mobbing della moglie sono “simili alle bestie” come dice il Prof. NISTICO’…ed invece per sfogare la propria rabbia repressa da troppo tempo ha preferito dirlo lui in prima persona!
    Tutto ciò invero appare esercizio di un diritto di critica aspra a volte violenta da parte di un cittadino che è stato leso nei suoi diritti ed interessi primari: matrimonio, famiglia, lavoro, dignità umana etc….
    Una persona che è stata costretta a subire ciò che ha patito il Sig. CIFELLI a livello personale e familiare, veramente si pensa che avrebbe anche dovuto arginare il proprio stato d’ira contro coloro che sarebbero stato individuati come i responsabili del mobbing?
    Questa difesa crede che le affermazioni generiche contenute nella seconda parte del fax costituiscano espressione del diritto di critica lecito, anzi costituzionalmente garantito, e non offendano l’onore e la reputazione di chicchessia perché generiche e generalizzate.
    Come dire che i terroristi appartenenti ad Al Quaeda sono tutti delle bestie sanguinarie!
    Se qualche accenno a condotte diffamatorie si fosse realizzato nella prima parte del fax ove si parla delle singole parti civili, agli atti del giudizio è emerso materiale più che sufficiente a ritenere che il Sig. CIFELLI abbia reagito ad uno stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui ai sensi dell’art. 599, 2° comma c.p., come già ampiamente trattato in precedenza.
    Illogica e contraddittoria appare, infine, anche la parte della sentenza che ha determinato una pesante condanna al risarcimento del danno in capo al sig. CIFELLI nei confronti delle odierne parti civili costituite, dal momento che i maggiori danneggiati nella vicenda complessiva, come ha dimostrato indubbiamente il dibattimento, sono stati proprio il Sig. CIFELLI e la Sig.ra D’AMICO.
    Al danno quindi si aggiunge la beffa!
    La giurisprudenza della Suprema Corte, in un caso analogo, ha statuito circa l’evidente l’illogicità della condanna al risarcimento del danno dell’imputato in favore di coloro i quali avevano dato causa alla condotta ingiusta, provocando lo stato d’ira sfociato nell’offesa all’onore ed al decoro dei degli stessi (cfr. Cass. Sez. V° Pen. n. 8097/2007).
    Per quanto sopra, chiedo che il Tribunale della Spezia, Sezione Monocratica, in funzione di Giudice di Appello, in totale riforma dell’impugnata sentenza, Voglia mandare assolto l’imputato per il delitto di cui al capo d’imputazione, per il verificarsi della causa di non punibilità di cui all’art. 599, 2° c.p. ed in subordine, per il manifestarsi di un profondo stato d’ira che ha determinato un vizio parziale o totale di mente, da accertarsi in corso di giudizio.
    Con profondo ossequio.
    La Spezia, 13.09.2007

    Avv. Luigi PACE

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