23 ottobre 2006 n. 342

Anna Politovskaja, giornalista siciliana. Anche stamattina, al giornale, i colleghi hanno dato un’occhiata alla scrivania vuota e si sono messi al computer a lavorare. Il potere è mafioso, lo si sa: però loro lo scrivono, fanno i nomi e i cognomi, e sono soli. Di chi è la scrivania vuota? Chi è il collega, assassinato dagli imprenditori mafiosi, che fino all’altro giorno scriveva? In che lingua scriveva? In russo, in italiano, in castigliano? Russia, Sicilia, Colombia, Russia? E che importanza ha. Siamo in un paese dove l’informazione non è libera, dove i politici al massimo livello fanno accordi coi mafiosi (si chiamino Cuffaro o Putin, gioviali notabili o cupi apparatniki), dove l’imprenditoria è collusa, dove il popolo fiaccato da rassegnazione e miseria non osa alzare la testa eppure (essi sanno benissimo) un giorno, grazie a loro che resistono, la rialzerà. E in quale chiesa si sono svolti stavolta – sempre più soli e inutili – i funerali? Pochi compagni attorno, dichiarazioni sprezzanti (“La mafia qua non esiste”, “Nessuno stava a leggere il suo giornale”) delle Autorità. E quell’applauso commosso, di quelle poche centinaia di impauriti ma consapevoli cittadini. E loro che si allontanano, a spalle chine, per ritornare alla redazione, a scrivere tutto ciò che è successo, anche in questa giornata. Manderanno ai giornali esteri (“I servizi hanno sequestrato il suo computer”, “stava facendo un’inchiesta sui massacri”) note redazionali. Aggiorneranno il palinsesto di questo numero, sperando che gli edicolanti – almeno per un altro po’, almeno qualcuno – acconsentano a esporre ancora il giornale. Non parleranno, fra di loro, di lei, salvo che per ragioni di lavoro. Ma a lei penseranno ogni attimo, firmando le nuove inchieste, guardando la rotativa che le stampano, seguendo con lo sguardo le macchine che si allontanano portando dovunque possibile le copie del giornale.

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Nessuno scrive più di te, Anna, ed è passato appena un paio di settimane. Ci sono altre cose da scrivere, guerre, re, star system, presidenti, cantanti: altri eventi del vasto mondo ingombrano la grande stampa internazionale. Hanno scritto che eri una giornalista, una brava giornalista, e che sei morta: cosa potevi chiedergli di più, a questi illustri e – per quasi due giorni – partecipi colleghi? E’ nelle povere stanze e fra i computer rabberciati, con gli altri redattori dei tuoi stenti giornali, che ancora vive il Giornalismo. Lui non ti ha dimenticata, nè tutti gli altri come te.
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Giornalismo. Convegno della stampa libera siciliana, il quattro e cinque novembre a Catania. Come spezzare il monopolio, come dare tecnologie alla libertà. Come organizzarsi – insieme. Come trasformare.

Info: riccardoorioles@libero.it , lucio@libero.it
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Informazione 1. Sergio Saviano è un ragazzo di Napoli che ha scritto il più bel libro sulla mafia degli ultimi anni. La mafia, che là si chiama camorra, in realtà non è più né mafia né camorra: è un Sistema, moderno e omnicomprensivo, che regge parte grandissima dell’economia e gestisce – insieme ai poteri ufficiali – la sua parte di società. Sergio adesso è in pericolo per aver scritto questo. Non lasciamolo solo – non ci ha lasciato soli.

Bookmark: http://www.sosteniamosaviano.net/
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Informazione 2. Dal 3 ottobre (decreto legge n. 262, art. 32) in internet non si possono più riportare liberamente articoli dai giornali ma bisogna pagare un compenso all’editore, a pena di sanzioni salatissime. Prima il copyleft era ammesso sul web con il solo obbligo di citare rigorosamente fonte e autore del pezzo. Così si imbavagliano migliaia di siti, di blog e di forum. Questo incredibile balzello non fa differenza tra gli operatori professionali dell’informazione e chi pubblica articoli senza scopo di lucro: semplicemente, si penalizza chi diffonde informazione. Una “svista” del governo Prodi? Se così è. la si corregga subito. Se no, sarebbe un grossolano ed inaccettabile tentativo di limitare e controllare la libera e autonoma diffusione dell’informazione. “La libertà non si può fermare – dice Peacelink, la rete pacifista che ha lanciato l’allarme sul decreto – L’informazione su internet deve rimanere libera. Chiediamo al Governo che ritiri questo decreto legge. Chiediamo al Parlamento che lo cancelli”.

Bookmark: http://db.peacelink.org/campagne/info.php?id=20
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Informazione 3. Passerelle. Nella stessa giornata (9 ottobre) Bertinotti da Ferrara a La7 e Fassino da Vespa a Porta a Porta.
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Che cosa rubano gli italiani? Nei supermercati, secondo un rapporto Coldiretti, soprattutto alimentari: formaggio (8 per cento), carne (5 per cento) e (2 per cento) vino. Qualcuno ruba anche dvd ma la maggior parte oramai cerca roba da mangiare.
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Calabria. Sciopero della fame “per chiedere disperatamente interventi immediati in materia di giustizia e di lotta alla criminalità organizzata nella Locride ed in Calabria. Mi appello al Presidente della Repubblica Napolitano affinché, attraverso il suo intervento, il Consiglio Superiore della Magistratura ad un immediato rafforzamento dell’organico della Magistratura inquirente applicata presso il Tribunale di Locri con l’istituzione di un Procuratore aggiunto nonché di un distaccamento della Direzione Distrettuale Antimafia. Chiedo inoltre ai signori Ministri dell’Interno Amato e della Difesa Parisi di voler attivare l’invio in Calabria di unità specializzate delle Forze dell’Ordine nel controllo del territorio. Finché non riceverò rassicurazioni concrete in tal senso, sono pronto a continuare il mio sciopero della fame fino alle estreme conseguenze, perché la Calabria ha fame solo di Giustizia. Mario Congiusta”.

Bookmark: http://www.gianlucacongiusta.org/
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Sicilia. Inchiesta su banche e notabili locale dello storico ragusano Carlo Ruta. Denunce del (discusso) procuratore locale Fera e dell’avvocato delle banche Di Paola. Condannato al bavaglio e a otto mesi di galera.

Info: accadeinsicilia@tiscali.it
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Difesa. L’Italia fornirà all’esercito libanese missili terra-aria Aster 15. Ciò metterà il governo libanese in condizioni di controllare effettivamente il proprio spazio aereo. Proteste dello Stato maggiore israeliano.
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La memoria della nonviolenza. Come si resiste al nazismo a mani nude? Per trovare la risposta a questa domanda basta chiamare lo 0881.637822, oppure andare a Foggia, in Viale Europa 45, dove il novantacinquenne Paolo Sabbetta, ancora lucidissimo e fisicamente attivo, accoglie a braccia aperte chi gli chiede informazioni sull’esperienza di resistenza non armata che lo ha visto protagonista nella tenuta agricola di Tor Mancina, a due passi da Roma sulla via Salaria. La casa di Sabbetta e’ un vero e proprio museo della resistenza nonviolenta italiana, con un intero salone dedicato alle foto e ai documenti che testimoniano la attivita’ di direttore della tenuta, alla guida di 80 famiglie che hanno praticato le forme di noncollaborazione e boicottaggio piu’ varie e fantasiose.
“L’intera Comunità di Tor Mancina – racconta Sabbetta – si coalizzò contro gli occupanti, mettendo in atto tutta una serie di espedienti, sotterfugi, stratagemmi, per nascondere ai nazisti civili, militari, italiani e alleati, beni mobili e immobili di proprietà dello Stato Italiano. Una vera e propria beffa alimentata da un insopprimibile spirito di libertà e indipendenza”. Per ostacolare l’azione degli occupanti le famiglie di Tor Mancina si sono inventate di tutto: maiali “parcheggiati” nelle grotte prossime alla tenuta, latte sottratto alle mucche di notte per nutrire i partigiani alla macchia, 400 quintali di grano e 300 di avena occultati in un silos, mobili, attrezzi, olio e masserizie murati nei locali sotterranei.
Oggi Paolo Sabbetta ha gravissimi problemi di vista, e vorrebbe una indennita’ di accompagnamento o qualunque altra forma di assistenza per avere accanto una persona che lo sostenga nel suo lavoro di memoria della resistenza nonviolenta, leggendogli documenti e aiutandolo nella corrispondenza. All’ANPI chiede che lo status di partigiano venga riconosciuto anche a chi ha praticato, e non solo a Tor Mancina, forme di resistenza non armata, mentre ora questa qualifica e’ riservata solo a chi ha tenuto in mano il fucile per almeno tre mesi. Allo Stato Sabbetta chiede che la qualifica di Cavaliere attribuitagli da Scalfaro sia riconosciuta anche ai membri delle 80 famiglie di Tor Mancina, veri e propri eroi dimenticati. [carlo gubitosa]
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Censure. Da bambina giocavo sempre a dama con mio padre, e non me la dava vinta. Vinceva sempre lui. Ho cominciato così ad allenarmi da sola. Giocavo da sola e vincevo. Era facile. O con i bianchi o con i neri, vincevo sempre io. Poi sono cresciuta ed è cominciata la scuola media. Lì ho capito che c’era più gusto vincere con i compagnetti di classe. Non accadeva sempre, ma accadeva. Almeno ci si divertiva. E’ una fase che Santoro deve ancora superare, però, quella di giocare contro un avversario. Durante la trasmissione Annozero (redazione nuova… e si vede) hanno parlato di mafia. Di mafia vera, dicono loro, mica del caso Campagna! Mica del caso Ruta! Mica del caso Benanti! No, del covo di Riina! Dopo un processo mediatico nei confronti di Ultimo da parte di Ingroia e Travaglio, Ultimo chiama in trasmissione per smentire alcune cose false. E Santoro, l’epurato per 5 anni, che fa? Gli nega il diritto democratico di un contraddittorio, glissando con un “lo invitiamo in studio e lo facciamo venire con un cappuccio. Tanto vengono anche Cuffaro e Berlusconi!”. A questo punto, ho pensato a quando ero piccola e giocavo a dama. In effetti è più facile vincere quando si gioca da soli. Ascoltare l’altra campana in fondo è compito di un giornalista, mica di uno showman! [antonella serafini]
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Scout. Palermo. Aperte le iscrizioni al gruppo scout “Rosario Livatino”, aderente all’Assiscout e intitolato al “giudice ragazzino” ucciso dai mafiosi e schernito da Cossiga.

Info: assiscout.palermo@email.it
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enzocinema@aliceposta.it wrote:
In un campo di concentramento tedesco un polacco tenta di scappare. Una guardia imbraccia il fucile e stava per sparare… quando sente una voce dal cielo: “Fermo! Che fai? Quello è il futuro papa!”. Il tedesco si blocca: “Ma – chiede – e io?”. E la voce risponde: “Pure tu, pure tu, dopo…”.
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Re Scorpione wrote:
< zermo, ciancio, catania, mafia, massoneria, politici corrotti comunisti, fascisti… le cose non cambieranno mai, hanno fatto il patto per il potere con il demonio, e visto che il BUON DIO li lascia ancora al potere, caro O., o dimentichi tutto e vai a fare il barcaiolo nel Caribe o non hai più speranza di vivere in pace, la puzza di zolfo si sente fino al waziristan >
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Pasquale Incoronato wrote:
< Da anarchico preferirei vedere le strade intitolate a persone comuni, perbene, che abbiano lavorato ed educato, che si siano occupate del loro prossimo e che abbiano avuto il coraggio di abbandonare le imposizioni delle classi dominanti, di non obbedire ad ordini, ma di assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Chi conosce l’uomo Allende? Da bambino mi piaceva Dubcek, da adolescente Alliende. Mi piacevano le loro facce e quelle del popolo che li sosteneva. Interpretavano il dramma dell’uomo solo ed impotente, che resisteva con la forza della ragione alla forza distruttiva delle istituzioni dominanti. Fossi stato dio, li avrei protetti e resi vittoriosi. Avrei distrutto gli eserciti della CIA e quelli del Patto di Varsavia. Essendo bambino, adolescente e poi uomo ho sofferto. In nome di quella sofferenza ricorderò sempre il volto di Allende, con o senza targa, con o senza commemorazioni. Quello che pensano due consiglieri comunali, invidiosi e frustrati, quello che faranno, come hanno vissuto, non mi interessa. Il nome di Allende sì >
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duelune@libero.it wrote:
<“Mostriamo agli alleati e ai nemici il meglio della giurisprudenza militare americana”: questa l’ho sentita in un episodio della serie “JAG Avvocati in divisa”. Ho subito pensato a come si sia già espresso il meglio della giurisprudenza militare americana in occasione del processo per la strage del Cermis, o per i torturatori di Abu Graib, o, ancora, nei confronti dei responsabili dell’uccisione di Nicola Calipari e della “tentata morte” di Giuliana Sgrena, per non parlare delle motivazioni giuridiche che “giustificano” l’esistenza di un posto come Guantanamo. Ho sentito che una delle regole d’ingaggio dei Marines è quella di non essere mai processati da tribunali stranieri qualunque sia il crimine da loro commesso in territorio estero. Tipica logica da Impero, anche se sicuramente nemmeno i legionari romani di stanza nelle più sperdute Province dell’Impero godevano di tanta impunità >
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Roberto wrote (qualche anno fa):
< O forse, caro Gianluca, è che nemmeno noi sappiamo cosa sarà di preciso questa Internet. Le cose che mi hai raccontato, che mi hai mostrato, mi hanno entusiasmato e fatto immaginare che questa sarà la prossima grande avve ntura. I giornali stanno cominciando ad accorgersi del Web, scrivono cose buffe, eppure questa potrebbe essere una rivoluzione. Potrebbe essere che ci cambi il destino, che diventi una professione… Clarence srl, ci pensi? Magari diventerà un sito importantissimo, la community più famosa della rete italiana. Magari qualcuno scriverà una tesi di laurea sul nostro lavoro. Magari fra 10 anni saremo qui a ricordarlo, a celebrare l’angelo Clarence. Nel 2006… Oh mamma… chissà chi saremo allora… >
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Memoria. Un uomo e la sua lotta (“Antimafia”, marzo 1990). La sede dei Siciliani a Roma era in via Cola di Rienzo ed era in realtà un mezzo appartamento, completamente vuoto salvo che per una branda, un tavolo e due sedie. Con l’affitto, eravamo molto indietro: bisognava perciò cercare di salire senza farsi notare dal portiere, il quale tuttavia immancabilmente ci fulminava con uno sguardo di disprezzo. Il giornale era uscito, il numero uno, da tre settimane, e i cavalieri avevano già mandato i loro messaggi. Uno, il più bestia dei quattro, aveva offerto senz’altro dei denari. Un altro, il più raffinato, aveva invece mandato suo figlio (un giovane assai perbene, studente a Oxford e senza il minimo accento siciliano) a congratularsi col direttore per il bellissimo giornale e a osservare però che limitarsi a fare un mensile era, per giornalisti del suo valore, del tutto inadeguato: perché non fare invece una televisione? La prima tv privata della Sicilia, budget iniziale un miliardo: i soldi, si sarebbero trovati; s’intende, libertà assoluta.

Io ero a Roma, in quei giorni, per gli esami di giornalista; lui per rintracciare non so che funzionario Rai che aveva vagamente parlato di citare in qualche trasmissione il giornale, Antonio per un servizio e poi c’erano anche Claudio e Miki e il direttore raccontò del miliardo di Rendo e l’assemblea, seduta sulle due sedie e sulla branda, decise all’unanimità di rifiutare. Eravamo allegri quella sera, mandare al diavolo un miliardo non è cosa di tutti i giorni, poi lui e Miki si misero a commentare le tre brasiliane che c’erano al ristorante sotto, poi io dissi che all’esame mi avevano chiesto chi era Fossati, poi scendemmo passando con indifferenza davanti al portiere che non ci salutò, poi salimmo sulla macchina del direttore che era una cinquecento rosso ruggine e ce ne andammo tutti alla Rai e fummo ricevuti, dopo tre ore d’attesa, dalla segretaria del dottore. Della televisione se ne riparlò a settembre, venne l’onorevole Andò a parlare col direttore e gli fece esattamente la stessa proposta che a gennaio aveva fatto Rendo, e anche a lui fu garbatamente spiegato che non c’interessavano le televisioni.

Non so: ci sarebbe la birreria di Catania dove, dall’una in poi, passavano solo scippatori e metronotte, e noi. I metronotte prendevano una birra in fretta, al banco, gli scippatori invece grandi scodelle di pasta alla Norma. “Potremmo fare un settimanale” venne fuori l’idea, una notte, e allora facemmo i conti sui tovagliolini di carta per vedere quanto poteva costare fare un settimanale. Eravamo immortali, allora, niente di male avrebbe mai potuto accaderci. (Ne sono morti parecchi, di quegli scippatori, da allora; di uno fecero trovare la testa sotto la statua di Garibaldi, per una rapina sbagliata; ma bevevano intanto e scherzavano fra di loro, come tutti).

Oppure la vecchia sede, in un paesino sopra Catania, quando arrivarono – prese a cambiali – le macchine da stampa. Il direttore non c’era, e noi ragazzi festeggiammo con uno spinello; qualcuno di noi ha ancora il filtro di cartone, con le firme di tutti e la data. Oppure la “conferenza stampa” per il primo numero dei Siciliani, avevamo invitato tutti i giornalisti della città e il bar di fronte aveva mandato un quintale di pasticcini e spumanti per il buffet, ma venne solo un anziano giornalista sportivo, vecchio amico del direttore, e per tutta la sera rimase disciplinatamente là, a un capo dell’enorme e solitaria tavolata, a fare le regolamentari domande e auguri che si fanno alla presentazione di un giornale nuovo, e noi mangiammo amaramente pasticcini per una settimana.

Certo: bisognerebbe parlare di mafia adesso, e di lotta alla mafia e dell’informazione coraggiosa e di quella puttana. Ma a volte è una fatica troppo grande ripetere sempre le stesse cose. Il direttore è morto, sei anni fa, e questo è un fatto. I cavalieri sono ancora al potere, a Catania ed altrove, e anche questo è un fatto. Ci sono più ragazzini scippatori, a Catania, di ogni altra città d’Europa, esattamente come sei anni fa: e anche questo – che gl’intrallazzi e le vigliaccherie finiscano per essere selvaggiamente e pacificamente pagate dai più indifesi, che un ragazzo che nasce a Catania non abbia diritto a nient’altro che a finire in galera – è un fatto come gli altri. Ci siamo illusi, per alcuni anni, che una parte almeno dello stato italiano considerasse questi e altri fatti come estranei da sé, come nemici, e che sarebbe stato possibile – come si dice – “fare giustizia”. Ma era un’illusione, e basta guardare la faccia del giudice Ayala – cacciato perché voleva fare il giudice – per averne un’idea. Sono state illusioni nostre, non di Giuseppe Fava. Lui sapeva perfettamente (era molto più siciliano di noi) che in fondo era tutta una questione di “berretti” e di “cappelli”, di disgraziati sfruttati e di galantuomini: e che mai i disgraziati hanno avuto giustizia dai galantuomini, tranne che costruirsela da sé, a poco a poco.
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Amici miei. Alcuni di voi seguono la Catena di San Libero (che è nata nel ’99, in questi giorni più o meno) ormai da sette anni. Congratulazioni per la pazienza e auguri per i prossimi sette.
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narcisatrapani@virgilio.it wrote:

< Non è fra le cose quotidiane
il non mescolare il risveglio delle coscienze
con attimi scanditi da self-power,
qua e là il falso germogliare di fiori di carta.
Non è così che il nostro tempo
chiede battiti più forti e nitidi; senza scalpore
girano uomini che portano con sè
la verità interiore di essere liberi di vivere.
La libertà di dire, dissentire, osservare.
La libertà di rimanere e non sottomettersi.
La libertà di esprimere ancora idee e pensieri>

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