27 novembre 2006 n. 346

Beh, chiamarlo computer forse è eccessivo, certo è un aggeggio così su una nave non s’è più visto fino al Seicento (milleseicento), coi suoi ingranaggi, i display di lettura a doppia faccia, il calcolo in tempo reale di angoli, distanze, movimenti stellari e impostazioni di rotta. Stiamo parlando dell’apparecchio ritrovato tanti anni fa in fondo all’Egeo e di cui si è riusciti solo ora a capire il funzionamento: era un (non tanto) rudimentale strumento di navigazione, niente di elettronico certo ma incontestabilmente superiore a un astrolabio portoghese (tredicesimo secolo) o anche a un buon vecchio sestante da bucanieri (1600 e seguenti). Il fatto è che l’aggeggio, probabilmente fabbricato a Rodi (città greca specializzata in robe di mare) è stato prodotto fra il primo e il secondo secolo avanti Cristo, e cioè più di mille anni prima di ogni altra analoga tecnologia occidentale. L’Europa, cioè, per un certo periodo ha prodotto tecnologie raffinate (non solo strumenti nautici: ad Alessandria si facevano esperimenti col vapore già ai tempi di Eratostene). Poi s’è fermata. Poi sono passati mille anni. E poi ha ricominciato da zero.

Il punto di massimo sviluppo, dal punto di vista della ricerca tecnologica, è verso la fine dei regni ellenistici (Egitto, Seleucidi, ma ci metterei anche Siracusa), quando era appena finita la Seconda Guerra Mondiale (che allora si chiamava Punica) ma l’impero vincitore non aveva ancora provveduto a normalizzare il resto del mondo. Seguirono un centinaio di anni sulla spinta di quel che c’era già, globalizzando le cose più digeribili (per esempio l’aministrazione pubblica egiziana o il diritto della navigazione di Rodi) e andando avanti alla meno peggio su tutto il resto. Certo, le scoperte nuove non mancarono: i Galli per esempio inventarono il vino moderno (cosa per cui hanno tutta la mia riconoscenza); ma tecnologia avanzata più niente.

E come mai? Secondo me, perché in effetti non c’era più questo gran bisogno di tecnologia. I romani, infatti, avevano risolto il problema energetico alla radice. Schiavi. E non qualcuno qua e là, come prima, ma proprio a livello di massa. Per cui un mulino a vapore (o anche a vento, o magari anche ad acqua migliorato) in fondo non serviva a nessuno, visto che con un centinaio di schiavi potevi far girare tutte le mole da macina di cui avevi bisogno. Niente incentivo “capitalistico”, dunque. Niente industriale che finanzia gli esperimenti col vapore, niente Cugnot e niente Stevenson. Nella tranquillità generale, e senza che nessuno se ne avvedesse, il mondo andava scivolando sempre più indietro.

Problemi immediati per il momento non ce n’erano, visto che gli schiavi facevano tutto. Però i problemi di lungo periodo aumentavano, ed erano piuttosto gravi. Primo, bisognava tener sotto non qualche migliaio, ma milioni e milioni di schiavi: perciò addio politica, visto che tener sotto gli schiavi assorbiva ogni altra istanza. Secondo, bisognava procurarsi in continuazione schiavi nuovi, perciò dàgli a bombardare e invadere oggi gli armeni, domani i daci. Terzo, e peggio di tutto, non si faceva più ricerca scientifica, e quella poca che s’era fatta in passato si confondeva sempre più con letterature, filosofie e religioni. Altro che nuovi strumenti di navigazione! Dal quarto secolo in poi, si ricominciò a navigare a vista. Non riuscivano più neanche a inventarsi sciocchezze come mettere le staffe ai cavalli, perché lo stesso esercito era diventato un complesso militare-industriale mirato essenzialmente alla riproduzione di se stesso. Così quando arrivarono i barbari, ben saldi grazie alle staffe, l’impero prese più batoste di Bush e alla fine andò a ramengo.
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“Ah, l’avessero inventato i greci, il computer!”. Magari sarebbero partiti dai giochi e non dalla crittografia, da Netscape e non da MsDos. Ma non l’hanno inventato, accidenti: s’è dovuto aspettare duemila anni, e alla fine l’hanno inventato questi altri qua. Eppure – eppure avrebbero pure potuto inventarlo i greci: attorno all’800-900 dopo Cristo, circa mille anni dopo le prime sperimentazioni a vapore, in una situazione sociale di capitalismo avanzato (la Bella Epoque di Alessandria, l’affluent society di Alicarnasso e dintorni, Clinton presidente della Grecia Unita) perfettamente plausibile se si pensa che la monarchia premoderna (i Valois, i Tudor e compagnia) nel Mediterraneo orientale c’era già nel 200 avanti Cristo. E allora?

Allora niente. Sono arrivati un sacco di tizi piuttosto burini sul piano tecnologico e culturale, ma straordinariamente bene organizzati sul piano militare. Hanno preso l’Egitto, hanno guardato con curiosità la statua che faceva rudimentali movimenti spinti dal vapore, hanno portato (o “procurato” sul posto) qualche decina di migliaia di schiavi, e via col latifondo. Di agricoltura moderna (mulino, mulino a vapore, tecnologia) se ne parlerà fra un paio di migliaia di anni. Adesso, lasciateci fare in pace l’impero.

Ok, tu ora leggi queste quattro scemenze alla luce di una lampadina elettrica (inventata centocinquant’anni fa) dentro una casa di cemento armato (trecento anni fa) su un computer Windows (vent’anni fa,due secoli per un computer). Domattina salterai dentro una scatola con motore a scoppio (centoventi anni fa) e ricomincerai la tua giornata, come sempre. E non ci sono più neanche i barbari, accidenti.

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E che c’entra Alessandria d’Egitto col fatto – per esempio – che in intere regioni d’Europa (Sicilia e Calabria, ad esempio) comandano i mafiosi, che i più pagati giornalisti italiani (Farina e Guzzanti, ad esempio) non fanno giornalismo ma servizi segreti, che i giornali vicini all’imprenditoria “sommersa” napoletana (Corriere di Caserta, ad esempio) linciano gli scrittori anticamorra come Saviano, che parlare di brogli il giorno dopo le elezioni (Berlusconi) merita applausi mentre parlarne sei mesi dopo (Deaglio) merita “notizie false e tendenziose”?
Niente, non c’entra niente. O meglio c’entra sì, c’entra molto; ma facciamo finta che non c’entri niente, così almeno abbiamo la soddisfazione di parlare d’altro.
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Morgantina (Sicilia). Ancora nessuna notizia di Venerina G., la giovane rapita anni addietro da una banda di criminali specializzati per incarico – sembra – di un facoltoso uomo d’affari d’oltreoceano. Dopo lunghe e faticose indagini i carabinieri sono riusciti ad accertare che la ragazza si trova quasi sicuramente a Malibù in California, in una proprietà del multimiliardario Paul Getty. I legali della famiglia Getty – secondo fonti diplomatiche italiane – non escludono la presenza della giovane nella proprietà di famiglia: affermano tuttavia che ella (a parte la mancanza di alcune dita della
mano sinistra) sta bene, e che comunque non la si è mai sentita lamentarsi del trattamento ricevuto. Per questi motivi, e anche per il fatto che le leggi americane non prevedono la restituzione a Paesi stranieri, i legali ritengono di non dover riconsegnare Venerina ai suoi.

Nonostante l’intervento dell’Ambasciata italiana e del nostro ministero, il caso della ragazza di Morgantina resta dunque drammaticamente aperto. “Solo un intervento diretto del Santo Padre – commentano – potrebbe forse convincere gli americani a lasciare tornare a casa la nostra Venera”. Più aperte le prospettive per il rientro del giovane rapito in circostanze analoghe vicino a Fano nelle Marche: per lui gli americani offrono un periodo di “comproprietà” di
quattro anni, in attesa di ulteriori sviluppi della situazione. Si spera che il ragazzo riesca a resistere tanto a lungo, anche grazie alla faccia di bronzo (opera di Lisippo) di cui è dotato.

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Allora: se io scrivo che l’industriale veneto Giorgio Panto, ucciso in un incidente aeronautico presso Venezia, era l’uomo più odiato da Berlusconi sicuramente diffondo una notizia falsa e tendenziosa o una semplice associazione d’idee (Panto, con un suo piccolo partitino leghista-dissidente, gli tolse esattamente i voti che gli servivano per battere il centrosinistra, e di ciò il Cavaliere amarissimamente si dolse)? Diremo allora che, nei pressi di san Pietroburgo, un elicottero con dentro l’imprenditore moscovita Pantovic è precipitato per cause del tutto naturali, e che Pantovic aveva recentemente litigato con Putin, che lo accusava di avergli sottrattto dei voti decisivi. Certo, siccome Putin è un capo di stato democratico e notoriamente alieno da ogni violenza…

No, così non funziona. Ormai Putin è troppo sputtanato, e l’idea che possa elicotterare un avversario politico non stupirebbe più proprio nessuno. Ho scelto male l’esempio: scusate. (Di chi era amicissimo in Italia il comunista kgbista Putin, chi se lo portava ogni momento in villa, sullo yacht, sulla Costa Smeralda? Ma quel communista di Prodi, naturalmente).
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Donne armate. Quanti omicidi avvengono ogni anno in Italia? Quanti commessi da uomini? Quanti da donne? E’ più pericolosa un’ arma in tasca a un uomo, oppure nella borsetta di una donna? In Italia, fra il 1997 e il 2002, mezzo milione di donne sono state violate, o si è cercato di farlo: questo dato dell’Istat, che per un giorno ha riempito i giornali, è stato ormai digerito e dimenticato.

Perché non dare alle donne la possibilità di difendersi (ad esempio con uno spray urticante, o roba del genere) con un porto d’armi differenziato? La stessa “arma” potrebbe essere vietata agli uomini e concessa alle donne, per legge: non sarà politicamente corretto, ma cambierebbe tanti rapporti di forza e statisticamente non porterebbe certo a un aumento della violenza. Quante donne andrebbero a rapinare una banca col loro spray defender legalizzato? Non credo che sarebbero in molte ad approfittare dell'”arma” per commettere a loro volta illegalità. E in compenso diventerebbe meno scontato aggredire come una preda una donna sola.

Vorrei una leggiaccia del genere, e vorrei anche che nelle scuole s’insegnasse l’uso dello spray defender alle ragazzine. Ci sono già tante cose stronze in giro, che una piccola cosa stronza in più (e questa lo è sicuramente) non cambia niente.
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Placanica. Allora è vero che, quando Carlo era a terra, lo presero a calci in testa. Chi è il ministro dell’interno a cui dobbiamo dirlo adesso? E quello della difesa?
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Bilal Hussein e’ una delle 14.000 persone detenute dagli Stati Uniti fuori dal loro territorio, 13 mila delle quali si trovano in Iraq. I militari-poliziotti-pacificatori-esportatori di democrazia che indossano una divisa a stelle e strisce hanno delle ottime ragioni per averlo messo in gabbia: Bilal e’ un cittadino iracheno nato a Falluja, e gia’ questo basta a renderlo persona sgradita a chi ha colpito con bombe al fosforo bianco tutti i suoi concittadini, ma il suo peccato piu’ grave e’ quello di essere un fotografo dell’Associated Press, una attivita’ che lo ha portato dietro le sbarre per “imperative ragioni di sicurezza”. Bilal e’ in galera dal 12 aprile senza essere accusato di niente, e questa prolungata detenzione ha spinto ad una presa di posizione “politica” perfino la statunitense AP, una delle quattro piu’ grandi agenzie di stampa del mondo, che non ha di certo vinto 29 photo Pulitzer facendosi soffiare sotto il naso i fotografi dai primi ufficiali di passaggio. “Vogliamo che le regole del diritto siano rispettate” – ha dichiarato Tom Curley, il presidente della AP. – “Bilal deve essere formalmente accusato di qualcosa oppure rilasciato, un arresto indefinito non e’ accettabile”. Le foto di Hussein parlano da sole, e chi le osserva in rete sul sito della AP si trova davanti ad un racconto per immagini fatto di persone ferite, umiliate, uccise, in uno scenario ben lontano da quella pacificazione descritta dalla retorica militarista. Nel frattempo l’amministrazione Bush ha decretato che anche gli immigrati arrestati
sul suolo Usa potranno essere detenuti indefinitamente se sospettati di attivita’ terroristiche, e non potranno difendersi presso i normali tribunali civili, e per loro varranno le stesse sospensioni del diritto applicate a Guantanamo.
Dietro Bilal Hussein ci sono altri 14 mila detenuti senza nome, privati della liberta’ dalla legge del piu’ forte. Questi prigionieri, in nome di una guerra al terrorismo sempre piu’ simile al male che vuole combattere, “sono tenuti in un limbo dove pochissimi sono accusati di un crimine specifico, e nessuna corte o tribunale si battera’ per la loro liberta’”. Il testo tra virgolette non e’ di Al Jazeera, ma di Associated Press.
[carlo gubitosa]
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Lorenzo Misuraca wrote:
< Da alcuni mesi, su www.cuntrastamu.org, stiamo cercando di mettere su una web radio centrata sull’informazione antimafia. Ci siamo occupati di racket, camorra, Provenzano, Borsellino e così via. Ora il server a cui ci affidavamo, ci fa sapere che le tariffe per gli abbonamenti sono cambiate. Per tenere la radio online, con un minimo di archivio, ci vogliono 500 euro. Chi conosce Enrico e Maria, i fondatori del progetto, sa quali sacrifici anche economici, gli costi questo sogno di informazione vigile sulla criminalità organizzata. Vorrei sapere se tra gli appassionati della Catena ce n’è qualcuno – magari uno smanettone hacker – che conosce alternative per poter ospitare Radiocuntra sul web, senza spendere tutti questi soldi. Lo spazio necessario sarebbero 20 Giga >
Contatti: info@cuntrastamu.org
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Umberto Saba (by nbawac@tin.it) wrote:

< Dalla marea che un popolo ha sommerso,
e me con esso, ancora
levo la testa? Ancora
ascolto? Ancora non e’ tutto perso? >

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“A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?”
(Giuseppe Fava)
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