Caselli e quella memoria ballerina

Sono state le parole di Caselli rilasciate alla testata livesicilia.it che ci hanno fatto risvegliare malumori dovuti a una giustizia repressa.

Citiamo, dunque: Fu De Caprio, il cosiddetto capitano Ultimo, all’epoca quasi un eroe nazionale, a chiedermi di non perquisire il covo di Riina, sostenendo che avremmo altrimenti compromesso sviluppi investigativi importanti. Io mi fidai e per me era scontato però che il Ros avrebbe proseguito la sorveglianza del nascondiglio del boss appena catturato”.

Ora… veniamo ai fatti. Parliamo di lui, l’ “eroe” Caselli. In una nota del 12/2/1993 prot.340/93, redatta insieme ad altri magistrati, il magistrato scrisse che si, la richiesta dell’attesa per la perquisizione del covo, venne PROPOSTA dall’allora 34enne Ultimo, ma era stata “motivata e assolutamente convincente“, e vi era un’intesa tra Procura e Polizia Giudiziaria. Nell’udienza del 7 novembre 2005, Caselli non era in grado di ricordare nulla più se non ciò che si leggeva in questa nota del 1993, per cui in udienza, sotto giuramento davanti a un giudice, ebbe necessità di rileggere quanto redatto per ricordare i fatti accaduti TROPPI anni prima. Addirittura ci permettiamo di virgolettare testualmente le dichiarazioni di Caselli: “tutto quello che so e che sono in grado di ricordare è tutto riassunto in questa nota. Non ho ricordi personali ulteriori“.

In effetti dal 1993 al 2005 era passato molto tempo. Anche se nel procedimento penale NR. 87/02, nell’udienza del 18 novembre 2003, Caselli aveva ancora memoria dei fatti. Dichiarava infatti che “Il giorno 15 gennaio, nelle ore successive all’arresto di Riina, vari ufficiali […] ci segnalano che era assolutamente indispensabile, per non pregiudicare ulteriori importanti acquisizioni, che dovevano conserntire di disarticolare la struttura economica e quella operativa facente capo a Riina.

Quindi, ricapitolando, Ultimo propone, i magistrati valutano e poi appoggiano e sostengono l’idea di Ultimo. Insiste sempre Caselli, nell’udienza del 2005 che “ho sempre preferito non conoscere i dettagli per evitare rischi ulteriori” e evitare potenziali situazioni drammatiche“.

In estrema sintesi, potremmo riassumere molto semplicisticamente con un “come operano i Ros non ci interessa, l’importante è che arriviamo all’obiettivo comune. La PG fa investigazioni, noi emettiamo mandati”

Un’ulteriore nota di Caselli del 1994 (quindi piuttosto fresca dall’arresto di Riina) conferma la fiducia e la stima per l’operato dei ROS.

Ora, stando a quanto dichiarava Caselli, nel 2005 non ricordava altri fatti se non quelli letti su una nota scritta all’epoca dei fatti (così dichiarava sotto giuramento). Però poi succede un evento strano. Scrive un libro quest’anno. E di colpo ricorda cose che nemmeno l’anno successivo ai fatti “incriminati”, sapeva.

Quindi partono le stilettate contro Ultimo, che a detta di Caselli non poteva che meritare “fiducia” senza riserve, in quanto “all’epoca quasi un eroe nazionale”. Ma Caselli non dice il vero, perché Ultimo è divenuto “quasi un eroe nazionale” DOPO aver catturato Riina e proprio per quella cattura, mentre l’Ultimo che conferiva con Caselli in caserma la mattina del 15 gennaio 1993 era solo un sottufficiale dell’arma di un reparto specializzato, nessun eroe nazionale, perché Riina era stato appena catturato e il capitano De Caprio al paese era sostanzialmente sconosciuto. Praticamente un giovanotto (perchè a 34 anni non era l’eroe della fiction, nè il comandante del NOE) che fa il lavaggio del cervello a un pool di magistrati esperti, come se questi non avessero la più pallida idea su cosa fare.

O invece un’idea ce l’hanno, perchè il punto chiave non è solo la memoria ballerina di fatti passati. Il punto GRAVE è quello che segue e di cui nessuno parla, subito dopo l’arresto di Riina. Ma di questo parleremo a breve. Per il momento veniamo alle altre menzogne del dott. Caselli: per me era scontato però che il Ros avrebbe proseguito la sorveglianza del nascondiglio del boss appena catturato” . Ma anche questo non può essere vero: è in atti, sulla base delle testimonianze anche di altri sostituti procuratori e di carabinieri della territoriale, che gli inquirenti sapevano perfettamente che la sorveglianza del ROS in corso, che oggi secondo Caselli avrebbe dovuto riguardare “il nascondiglio del boss appena catturato”, in realtà non riguardava il nascondiglio e non poteva riguardarlo perché l’ubicazione esatta di questo era ignota. Invece la sorveglianza riguardava solo la via del comprensorio dove era situato il gruppo di 23 ville fra cui era presente quella di Riina, e non poteva captare alcunchè di quanto avveniva all’interno del comprensorio e men che meno nel “nascondiglio del boss catturato”, perché nascosto da un recinto alto 2 metri e mezzo, e 2-300 metri di siepi e ville di mezzo, e altri recinti. E il punto è che ciò è dimostrato. E’ scritto a chiare lettere in una sentenza definitiva, che i PM lo sapevano, come sapevano che a causa di soffiate in quella via c’erano giornalisti e curiosi e quindi anche per quanto riguarda la sorveglianza della via non poteva essere per nulla “scontato” che questa dovesse proseguire senza interruzione, in quel baillamme, dovendo essere una sorveglianza coperta.

Ed ora veniamo a questo punto GRAVE che abbiamo anticipato pocanzi. Falcone diceva che bisognava seguire il denaro, Ultimo faceva richieste di intercettazioni su mafiosi che giravano intorno al boss di Cosa Nostra, ma la procura di Palermo, così come ha dormito nei 23 anni di latitanza di Riina, sembra ricadere nel letargo sotto l’occhio vigile di Caselli. E allora seguiamo il denaro e apriamo un altro capitolo, che può risultare interessante.

Il protagonista si chiama Montalbano. E no, non era un commissiario, ma l’uomo che faceva da prestanome ai corleonesi, Provenzano e Riina, nell’intestazione di patrimoni. Fonti aperte ci dicono che la famosa villa di Riina, si, quella della famigerata mancata perquisizione fosse la sua. Sembrerebbe infatti che questo Montalbano fosse, socio del complesso turistico “Torre Makauda” di Sciacca (Agrigento) e presidente della società “Villa Antica”, cui faceva capo, appunto, la nota villa di via Bernini.

Si comincia a sentire un po’ di puzza, vero? Bene, sempre questo Moltalbano, risulta essere figlio di un esponente storico del PCI siciliano, e, secondo gli inquirenti della procura di Sciacca (già, di Sciacca, non di Palermo, di Sciacca) che lo hanno già portato ad una pesante condanna in secondo grado di giudizio per reati di mafia, avrebbe frequentazioni con salotti della Palermo bene e rapporti con imprese in odor di mafia.

Cominciamo a mescolare nel letame, e ci viene in mente Riina che nell’aula di tribunale lancia anatemi contro “QUEI COMUNISTI COME CASELLI E VIOLANTE”, ma ora che conosciamo i rapporti tra uomini connessi con il vecchio PCI, Provenzano, e lui medesimo, ci suona strano anche quel messaggio di Riina. Come mai Caselli non ha mai indagato sul fatto di questa anomalia secondo cui Provenzano intestava a un uomo beni di cui Riina beneficiava? Che benefici avrebbe avuto nel perdere un uomo che gestiva il suo patrimonio (piuttosto notevole, anche, quantificato intorno ai 350 miliardi), gettandolo in pasto ai carabinieri in nome di una trattativa con lo Stato da cui non avrebbe ottenuto alcun beneficio?

Non si conoscono dettagli su questo Moltalbano, se non l’ultima notizia offertaci dal Tribunale di Sciacca. Per i lettori, questo’uomo dalle molte ombre aveva subito la confisca di tutti i beni, poi restituitigli in sede di ricorso dalla Corte d’appello di Palermo (tutti, a parte la villa di Toto’ ‘u curtu), perchè secondo il parere dei giudici, l’ingegnere prima dell’arresto di Riina, era “uno stimatissimo imprenditore di area comunista e quindi, quasi per definizione, schierato contro la mafia“. Eppure lo stesso Falcone indagò su quest’uomo, come si legge nel rapporto giudiziario dal titolo Carmelo Gariffo+29, (rapporto giudiziario n. 3033/16-1983) redatto dal nucleo operativo dei carabinieri di Palermo. Si tratta di un dossier in cui si parla di rapporti tra politica e imprenditoria in odor di mafia (vi ricorda niente Mafia e Appalti di cosa di occupava?).

Si legge nel dossier: Montalbano padre e figlio fanno parte di un’associazione di tipo mafioso, per essersi avvalsi della forza dell’intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento che ne derivava, per acquisire in modo diretto e indiretto la gestione e il controllo di numerose attività economiche e in particolare di numerose società, appalti e servizi pubblici e ciò al fine di realizzare profitti e vantaggi ingiusti per se e per gli altri con le aggravanti di aver finanziato le attività economiche di cui sopra con il prodotto e il profitto di delitti e segnatamente del traffico di sostanze stupefacenti”. Un’inchiesta che però nel 1987 fu archiviata. Da chi? (I ROS non archiviano procedimenti). E perchè?

Insomma, questo Montalbano, facendosi scudo con il partito antimafioso PCI, faceva affari con Provenzano, ospitava Riina, era sua anche la casa del boss di Sciacca Salvatore di Ganci insieme a cui fu trovato e arrestato  nel blitz del 27 gennaio 1999.

Curiosamente fu annullato l’ordine di custodia cautelare ma grazie a Dio partono le indagini patrimoniali, che dimostreranno che una grossa fetta di capitale di Cosa Nostra, era gestito da questo timido omino su cui nessuno vuole indagare. Non appena si scopre qualcosa di molto scottante, si archivia tutto. Nel 2005, anche se furono dissequestrati i suoi beni (ad esclusione della villa covo di Riina) il giudizio del giudice Cardinale rimane molto molto chiaro: “l’ingegnere Montalbano non è altro che il prestanome di Totò Riina”. E nel provvedimento di confisca, risulta che “a causa di tali rapporti [tra affari, e intrecci politici per i legami con PCI-PDS-DS, n.d.r.] già nel 1984 il Montalbano e il genitore professor Giuseppe Montalbano avevano ricevuto una comunicazione giudiziaria quali indagati di associazione mafiosa». Ed il riferimento è proprio su quella indagine di Falcone poi archiviata. Su questa archiviazione ci piacerebbe tanto approfondire.

Praticamente, questo Moltalbano, si è visto confiscare beni ma se li è visti restituire, pur conoscendo lo stesso Falcone seri dubbi sulla sua integrità morale. Non si sa cosa sia accaduto dopo la condanna a 7 anni e 6 mesi in appello per associazione mafiosa, perchè è tutto caduto nell’oblio. Non si sa se oblio giudiziario, ma sicuramente mediatico, perchè nessuno ne ha mai più parlato. Un uomo che può gestire il patrimonio di Provenzano però è di sinistra e quindi autorizzato a gestire certi patrimoni corleonesi con tante scuse. Ovviamente tutto questo accade sotto l’occhio vigile di Caselli. Che da la colpa a Ultimo per i consigli sbagliati. Fatto sta, che la taglia sulla testa non ce l’ha Caselli, ma Ultimo. La nostra idea è che la “trattativa” sia cominciata subito dopo l’arresto di Riina, per proteggere persone di una certa area politica. Ultimo ha scombinato i piani, arrestando un boss che abitava in una casa di proprietà di questo illustre sconosciuto, che rimane il più protetto e anonimo (avete mai sentito parlare di lui da tutti questi giornalisti filotrattativisti?) in tutta questa storia. Si chiama ingegner Giuseppe Montalbano

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Informazioni su Antonella Serafini 149 articoli
violinista per hobby, giornalista per dovere civico e morale, casalinga per lavoro, contadina del web e "colpevole" di questo sito antonella@censurati.it