Sotto le bombe, se vuoi 1kg di pane, 80 euro

Tanto è stato detto sulla situazione Ucraina-Russia. Tantissimo abbiamo visto e sentito nei TG e nei media nazionali (e internazionali). Voci opposte, distorsioni dei fatti, geopolitica inventata e disinformazione. Non ci interessa, (almeno in questo caso) entrare nel merito delle ragioni dei vari popoli in guerra adesso.

Quello che stiamo per sottoporre alla vostra attenzione è un caso umano. Senza musichetta di sottofondo come vengono proposti in TV (sempre, fateci caso). Le persone che appaiono in TV in lacrime, sono le stesse che, deo gratias, trovano posto in una tendopoli o in centri di accoglienza per sfollati.

E poi ci sono gli invisibili. Quelli sono in condizioni ancora più disperate. Non hanno diritto neanche a una tenda. Ed è la storia di Irina (nome di fantasia) con la sua figlia di 16 anni.

Irina è di Nikolaev. Viveva lì con sua figlia, quando la sua casa è finita sotto le bombe. E’ scappata in pigiama, senza niente, solo un telefono per chiedere aiuto. Di Irina e di sua figlia sappiamo tutto, data di nascita, domicilio, residenza. Ma lo sappiamo noi perché c’è una conoscenza diretta. I documenti sono rimasti sotto le macerie. Come lei, altre persone nella sua condizione, hanno trovato protezione in un rifugio antiaereo. Per 35 giorni è rimasta lì, completamente al buio, senza acqua, elettricità, riscaldamento, carta igienica. Una stanza di 50 mq con 30 persone. Sette materassi buttati a terra per dormire a turno. Sempre al buio totale, lei e i suoi compagni di sventura hanno adibito un angolo a “bagno”, essendo un posto sprovvisto di sanitari, vicino all’aeroporto di Nikolaev. Tutti insieme, senza più dignità, stesso “bagno”. C’è la possibilità di uscire fuori a prendere un po’ d’aria ma non si riesce a stare per più di due minuti, perché quando c’è movimento, arrivano gli spari. Sia da russi che da ucraini. Si spara a tutti altezza uomo. Non sono spari di intimidazione, si spara sulle persone. Perché questo accade in guerra. I più coraggiosi si allontanano per cercare fortuna, qualcosa da mangiare. E qui si apre un altro capitolo. Gli sciacalli dell’approvvigionamento. Tutti i soldi che è riuscita a recuperare Irina, sono finiti praticamente subito, perché per un Kg di pane e un litro di latte, il costo era di 80 euro (che è il pagamento di una settimana di lavoro per uno stipendio medio, lì). E chi vendeva viveri a questo prezzo erano i suoi concittadini. Quando si dice la solidarietà…

Questo il quadro. Dopo 35 giorni nel seminterrato, Irina trova il modo di pagare una persona per spostarsi a Odessa. Ci sono volute 18 ore di viaggio per fare 130 km, perché non si viaggia tranquillamente. E’ necessario nascondersi nelle strade di campagna per evitare di incrociare i militari.

Dopo questo viaggio avventuroso, Irina riesce ad essere ospitata tre giorni in un convento (in cui però non si può trattenere, perché i frati fanno turnare un po’ tutti, non possono permettersi di avere sempre le stesse persone). Qui Irina riesce a farsi una doccia dopo più di un mese che non lo faceva. Ha mangiato con sua figlia, e i frati le hanno dato giacche pesanti, pantaloni, quel poco necessario per ripararsi dal freddo. Ma arriva il terzo giorno e deve lasciare il convento, con sua figlia.

Cerca di spingersi verso il confine moldavo ma viene respinta perché non ha con sé documenti, e la presenza di una minore vicino non aiuta, perché per il rischio di tratta di minori, le leggi sono più rigide a riguardo, il che è anche giusto in una situazione di vita “normale”, ma a seguito di una fuga da paese bombardato, la cosa primaria dovrebbe essere la messa in sicurezza delle persone in pericolo. Ma la Moldavia, paese amico dell’Ucraina, non la fa entrare senza documenti, respinge la richiesta ed ecco che gli ultimi soldi che aveva sono stati usati per pagare un altro privato per tornare ad Odessa.

Una volta tornata ad Odessa si reca ancora una volta nel convento che l’ha accolta precedentemente, ma ormai senza più soldi senza più nulla, prova a fare la richiesta per avere i suoi documenti, come consigliatole dai volontari che si trovano sul posto (“Volunteers say that we need to go to Lviv, go to the administration and apply for the restoration of documents, wait, get documents and go to the border again, and then we will pass without problems”). Seguendo i consigli, si mette quindi ordinatamente in fila e ottiene il numero 3067. In fila c’erano persone che aspettavano da giorni ed erano tra i primi della lista. A causa dei bombardamenti, le pratiche svolte sono prima diminuite a 2 o 3 al giorno, poi sospese definitivamente. Irina ormai dorme per strada, per terra, nelle stazioni, sempre vicino alla figlia. Uno dei nostri collaboratori è riuscito a pagarle un ostello per qualche giorno, almeno per permetterle di mangiare qualcosa e lavarsi.

Viene a conoscenza di pullman che partono per la Polonia, e così sempre il nostro collaboratore, paga il biglietto per lei e sua figlia (girava la voce che in Polonia sarebbe potuta entrare anche senza documenti). E così, altri due giorni di viaggio, quindi, un viaggio della speranza, un giorno di fila al check point per poi scoprire che anche qui i documenti erano necessari per poter lasciare il confine. La Polonia, altro paese amico (come la Moldavia), chiede agli ucraini in fuga i documenti per avere il permesso di entrare.

In tanti nella sua situazione. O hai i documenti ed esci dal confine ucraino, oppure rimani a vagabondare. L’alternativa è passare il confine illegalmente, senza la burocrazia dei check point, ma lì c’è da mettersi in mano agli “scafisti di terra”, i contrabbandieri, che fanno passare il confine alla modica cifra di 5000 euro (senza oltretutto la garanzia che si arrivi vivi fuori dall’Ucraina, perché una volta in mano alla criminalità organizzata il rischio di morire è esattamente come se fosse sotto le bombe. Una roulette russa, quindi).

Abbiamo provato a chiedere (senza successo) alla Caritas un aiuto per recuperare Irina e sua figlia, perché le vie ufficiali (consolati e ambasciate in Italia) ricevono migliaia di email e presumibilmente non leggeranno mai in tempi stretti le richieste di aiuto (supponiamo siano molte nella stessa condizione).

Irina con noi non può parlare telefonicamente. Ogni tanto manda email dal centro di accoglienza dove trova alloggio, e in cui però non può restare per più di tre giorni.

Abbiamo chiesto a Irina come mai né esercito né governo fa nulla per i profughi. Risponde come se fosse ovvio “aiutano, certo. Se paghi aiutano”. Questo SE PAGHI la dice lunga sul motivo per cui l’Ucraina in tempi non lontani, veniva etichettato come uno dei paesi più corrotti. E senza neanche la guerra in corso.

Questa situazione (che non è solo di Irina, perché non è sicuramente l’unica a non avere documenti dopo essere scappata da un bombardamento) porta le persone a perdere ogni dignità, la stabilità mentale rischia di vacillare, perché più vanno avanti con la guerra, meno possibilità ci sono di rimanere vivi.

E conoscendo la situazione di completo abbandono in cui vertono i civili, siamo sicuri che siano più importanti le armi che l’assistenza al popolo ucraino? Noi continuiamo a vedere inviati in TV in posti in cui c’è sia elettricità sia internet. Irina attraversa a piedi chilometri e chilometri per trovare un centro da cui inviare un’email di aggiornamento al nostro collaboratore, quindi la realtà è molto più tragica di quanto appaia in TV, in cui appare artefatta e, se non falsata, sicuramente incompleta.

Il soldato buono che salva il cagnolino non è lo stesso soldato che “SE PAGHI TI AIUTA”. Quindi, dal nostro punto di vista, un servizio in cui si mostra questo è pura propaganda. Una donna che non riesce a lasciare il confine se non mettendosi in mano alla malavita organizzata, quella si, è reale.

L’ultimo aggiornamento che abbiamo, di questa mattina, è che ora lei vuole tornare a Nikolaev, la sua città, perché la scelta è: “meglio morire di fame o morire sotto le bombe? “. Irina non prende posizione politica sulla guerra. A lei non interessa chi ha ragione, chi ha invaso, perché ha invaso. A lei interessa non morire di fame o sotto le bombe. A volte chi è a casa a guardare la TV non si rende bene conto che dare armi non significa aiutare un popolo.

Il motivo per cui vi mettiamo a conoscenza di questa durissima realtà, è cercare idee che possano essere di aiuto (che non siano “chiedete alle autorità” perché l’abbiamo già fatto e senza successo). Ci manca un passaggio: in Italia possono arrivare senza documenti, per poter poi essere identificati a un consolato, ma per uscire dall’Ucraina, se non si hanno documenti? O malavita o non si esce?

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violinista per hobby, giornalista per dovere civico e morale, casalinga per lavoro, contadina del web e "colpevole" di questo sito antonella@censurati.it