Mucca pazza: tutta la verita’

a cura di Guido Romeo
Saranno presto validati nuovi test per diagnosticare l’encefalopatia spongiforme bovina fin dal momento dell’abbattimento degli animali. Il traguardo piu’ importante rimane però un test in grado di rilevare la malattia in animali vivi e senza sintomi

Più di 60 milioni di bovini vengono abbattuti ogni anno in Europa e, se si escludono i vitelli, almeno la metà delle carcasse dovrebbe essere testata per verificare la presenza di prioni, gli agenti infettivi dell’ormai tristemente famosa encefalopatia spongiforme bovina (ESB), meglio conosciuta come malattia della mucca pazza.

Di fronte a queste cifre è facile comprendere che la posta in gioco non è solo la tutela della salute dei consumatori, ma anche un enorme mercato per i kit diagnostici. E’ infatti con una buona dose di nervosismo che allevatori ed industrie farmaceutiche attendono i risultati di uno studio sui test per diagnosticare la ESB che la Commissione Europea dovrebbe rendere pubblici tra non molto.

Coordinato dal centro di Geel in Belgio, questo studio mira a valutare l’affidabilità di quattro test sviluppati dalla svizzera Prionics, dall’irlandese Enfer Scientific, dal CEA, il Centro per l’Energia Atomica francese, e dal laboratorio centrale di veteriniaria di Weybridge in Gran Bretagna. I diversi kit saranno valutati su 1500 campioni di tessuto cerebrale bovino, di cui 400 a 500 provenienti da animali malati, tutti preparati a Geel e distribuiti a ciascun laboratorio.

La necessità di disporre di strumenti diagnostici sicuri per identificare gli animali affetti è divenuta sempre più pressante da quando è stato abolito l’embargo sulla carne bovina britannica. Tanto piu’ che molti test sono già utilizzati come per esempio accade da più di un anno nella catena di supermercati dell’irlandese SuperValu, dove il prodotto venduto è certificato “BSE-tested “.
Qui tutte le carcasse di animali sono controllate a Dublino nei laboratori della Enfer Scientific che ha messo a punto un test diagnostico in collaborazione con gli inglesi. Anche in Svizzera, non più tardi del 1998, la Prionics si è vista approvare dalle autorità sanitarie elvetiche il proprio kit, il quale, già utilizzato su 3000 animali, l’anno scorso ha permesso di identificare un animale infetto la cui malattia era stata mal diagnosticata e la cuio carcassa sarebbe altrimenti finita nella catena alimentare.
Tutti e quattro i test esaminati vengono effettuati post-mortem su campioni di tessuti cerebrale degli animali abbattuti e mirano a rivelare la presenza di prioni alterati. Per quanto i prioni siano proteine costitutive del sistema nervoso dei mammiferi e non è ancora del tutto chiaro il loro ruolo nel causare la malattia, delle forme alterate sono sempre riscontrate negli animali affetti.

Purtroppo non si conosce ancora un anticorpo in grado di legarsi in maniera specifica alla proteina patologica. Perciò in tutti i test si comincia col distruggere i prioni non alterati per mezzo di un enzima, impiegando solo successivamente l’anticorpo per rivelare la possibile presenza di prioni anomali.

Il problema maggiore resta eliminare quello dei falsi positivi” spiega Jacques Grassi, direttore a Saclay, in Francia, del settore farmacologia e immunologia del CEA, “e in questo la fase di distruzione della proteina normale è molto utile perche’ si purifica il campione eliminando anche molti altri tipi di proteine che potrebbero interferire con l’anticorpo “.
La proporzione di animali malati resta infatti ancora molto bassa e i falsi positivi rischiano di allarmare inutilmente rallentando il funzionamento dei mattatoi ed aumentando i costi.
Le differenze tra i test riguardano invece i metodi di identificazione dei prioni anomali. Prionics propone un doppio sistema basato su anticorpi ed elettroforesi che permettere anche di misurare la quantita’ di proteina presente.
Gli svizzeri si vantano di garantire una maggiore affidabilita’, ma lo svantaggio rispetto ai sistemi concorrenti, basati essenzialmente su un sistema di anticorpi, rimane la scarsa possibilità di automazione del processo che dura ben sei ore contro le tre dei kit sviluppati da Enfer Scientific e CEA. Anche il prezzo sembra meno concorrenziale: l’equivalente di quasi 100.000 Lire, circa il doppio rispetto agli altri.
Ma se il controllo delle carcasse nei mattatoi è oggi a portata di mano, la maggior parte dei laboratori sta gia’ lavorando allo sviluppo di kit per diagnosticare la malattia in animali vivi prima del manifestarsi dei sintomi. Il problema resta però che la concentrazione della proteina modificata indice dello stato patologico e’ estremamente bassa nel sangue e non si conosce la soglia di concentrazione oltre la quale cominciano ad apparire i sintomi.
Prionics e Enfer Scientific sono gia’ al lavoro, ma la sensibilità dei test sembra ancora troppo bassa e passeranno diversi anni prima che un kit per una diagnosi ante-mortem arrivi sul mercato. Piu’ promettenti sembrano invece i risultati ottenuti all’Imperial College of Medecine di Londra, dove nei prossimi due anni duemila cittadini britannici potrebbero essere testati per la nuova variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob, una encefalopatia simile a quella che si sviluppa nei bovini e che si sospetta causata dal consumo di carne infetta.
I risultati non sarebbero però comunicati ai pazienti perchè le autorità britanniche mirano piuttosto a misurare con maggior precisione il grado di contaminazione della popolazione e finalmente stabilire se quella che oltre manica definiscono ormai la “saga della mucca pazza” causerà veramente una epidemia su scala nazionale.

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violinista per hobby, giornalista per dovere civico e morale, casalinga per lavoro, contadina del web e "colpevole" di questo sito antonella@censurati.it

2 commenti

  1. mucca pazza

    tra tutte le notizie mendaci che si pubblicano sull’argomento si deve puntualizzare quanto segue: a) come mai il decreto ministeriale 29 settembre 2000 definisce materiale a rischio specifico per BSE il cranio, compresi occhio e cervello, le amigdale, il midollo spinale dei bovini di et‡ superiore a 12 mesi, mentre.. b) …si afferma che si possono consumare tranquillamente carni di animali di et‡ inferiore a 30 mesi (secondo l’UE), a 24 mesi (secondo l’Italia) e a 18 mesi (secondo il Parlamento europeo); e ancora: c) perchË non si dice che della malattia si sa ancora quasi nulla? (v. ricerche britanniche) d) perchË, se non c’Ë rischio diretto da consumo di masse muscolari, la Boehringer (nota casa farmaceutica tedesca) sta facendosi approvare un test su animali vivi esaminando campioni di sangue? COME SEMPRE PREVALE L’INTERESSE ECONOMICO SULLA SALUTE PUBBLICA, ANCHE IN EUROPA (e non Ë una questione di questo o quel governo o di questo o quel colore politico!!!!)

  2. Non Ë x fare del terrorismo gratuito ma prepariamoci (noi italiani) a casi di BSE anche nel nostro BEL paese! Infatti secondo gli studi fatti fin’ora,non vi Ë alcun motivo x cui in Italia la BSE non debba essere presente nei bovini. Mi sento di dover dar ragione ai cugini francesi quando dicono che in Italia non c’Ë la mucca pazza semplicemente xchË noi non la cerchiamo! in Italia non ci sono ancora le conoscenze tali e x cui si possa rilevare la malattia. Come al solito NOI arriviamo sempre dopo! A mio giudizio c’Ë solo un motivo x il quale in italia non si siano ancora verificati casi di contagio: cioË che da noi la maggior parte del bestiame Ë da latte e non da macello,come avviene invece in GB e in Francia. Quindi noi abbiamo solo una percentuale pi? bassa di possibilit‡ di contagio rispetto a questi paesi.

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