“Che fai il primo maggio?” – Lavoro

di Pietro Orsatti

«Che fai per il primo maggio?» Un sorriso, sbieco: «Che faccio il primo maggio? Lavoro!». Un’esclamazione secca, senza allegria anche se buttata lì con un sorriso. A pronunciarla un portuale, poco più che trentenne. Genovese. La domanda poteva essere fatta a qualsiasi lavoratore di un altro porto italiano e la risposta sarebbe stata la stessa. Perché per chi lavora nei porti commerciali italiani il primo maggio è una giornata lavorativa qualsiasi. E non si tratta di garantire il minimo dei servizi essenziali alla vita del Paese. Si parla di merci, di produzione.

Benvenuti nel gioioso mondo della flessibilità. Flessibilità garantita 24 ore al giorno 365 giorni all’anno. E il primo maggio in porto non è festa, casomai è rabbia e frustrazione che rotolano per quattro turni: si comincia all’una di notte del primo, si finisce che è già il due. Prima di tutto ci sono i traghetti, che con la scusa di trasportare passeggeri (e quindi di garantire “servizi essenziali”) sbarcano container e rimorchi di Tir. Perché il traghetto è un oggetto “promiscuo”, dove si trasportano persone e merci, dove servizio e produzione si miscelano in un unico oggetto che è l’incubo di chi si occupa della sicurezza. Passeggeri, camion, gru, moto, container, muletti e carrelli. Tutto viene scaricato e caricato velocemente, mezzi e persone che si incrociano in spazi stretti. Basta un attimo e ci scappa il ferito. Può succedere, ed è successo.

Poi ci sono le merci deperibili, come gli alimenti, ma anche come la cellulosa. La stessa cellulosa che ha ucciso Enrico Formenti il 13 aprile. I portuali la chiamano “la bomba” perché è confezionata in balle che se non impilate correttamente crollano in un niente, perché bisogna scaricare di corsa visto che la merce non si deve inumidire, perché basta una scintilla a incendiarla. E poi il concetto di “deperibilità” della merce, per spedizionieri e terminalisti e armatori è un concetto elastico, molto elastico. I container non si aprono, e dichiarare la deperibilità della merce per velocizzare carico e scarico è prassi non eccezione.

«Sono diventati come soldati per lavorare». Così descrive i moderni docker’s italiani un vecchio “camallo” in pensione. Che nel mondo del lavoro si stia svolgendo una guerra lo avevamo capito, come era chiaro che uno dei campi di battaglia fossero i moli italiani pure. Una guerra che fa feriti, mutilati e morti. E con soldati “regolari” e “irregolari”. E caduti da contare o da rimuovere abilmente dalle statistiche, come emerge dai dati ufficiali. Perché l’ufficialità crea morti di seria A e morti serie B. L’autorità portuale di Genova parla di 7 morti in dieci anni, ad esempio, mentre i lavoratori parlano di una trentina di decessi in porto nello stesso periodo. Esiste perciò una discrepanza enorme fra i due numeri che è difficile giustificare se non analizzando bene “chi si conta”. L’Autorità conta il numero di portuali ufficiali, ovvero dei dipendenti delle varie imprese e delle Compagnie, che sono deceduti lavorando “in calata” mentre i lavoratori contano anche gli operai edili, i camionisti, i marittimi deceduti “nel porto” senza guardare, come fanno le autorità, alla mansione. Per i lavoratori non fa differenza la mansione ma il luogo. Perché per loro, oltre al tipo di lavoro, è anche il luogo ad essere pericoloso.

E in questo gioco di rimozione cadono anche sindacati e le Compagnie portuali. Come è successo a Monfalcone qualche anno fa quando un giovane portuale è stato ucciso da un carrello. Un giorno di bora, talmente forte che era stato chiuso il porto di Trieste, mentre a Monfalcone si era deciso di lavorare ancora. La bora ha impedito all’uomo di sentire il segnale acustico del mezzo in arrivo ed è stato investito. Si chiamava Franco Ciccarella. La compagna e gli amici hanno costituito un’associazione in sua memoria, e ogni anno organizzano iniziative e dibattiti sul lavoro e la sicurezza. Quest’anno volevano porre una targa all’ingresso dell’edificio della Compagnia portuale (unico luogo possibile e frequentato da tutti i lavoratori del porto), ma questa lo ha impedito. Perché Franco era un dipendente di una cooperativa, faceva si il portuale ma non con un contratto o “una mansione ufficiale” da portuale. E la compagnia di Monfalcone non può certo permettere che si ponga una targa che commemori una morte che non è “loro”.

Una battaglia, una guerra. Non si fanno prigionieri. Noi e gli altri. Ma perfino nelle guerre guerreggiate un giorno di tregua non lo si nega. Un giorno in cui non si uccide e non ci si fa uccidere. Ma questa regola non scritta nella guerra che ogni giorno si svolge sui moli italiani non vale. Neanche se è il primo maggio.

Commenti Facebook

2 commenti

  1. Non vi è stata una riga, dico, una riga di quanto ho letto, che non mi abbia fatto andare in bestia e, al tempo stesso, addolorato.
    Non si fa che parlare di democrazia, di diritti dei lavoratori e tanti altri bei , vuoti discorsi. Intanto, potete scommetterci, i nostri cosiddetti rappresentanti, si riempiono di parole roboanti, patriottiche, perfino!
    Mentre i lavoratori nei porti e in tutti gli altri settori lavorativi,vengono trattati più o meno, come degli schiavi di americana memoria…ah, giusto, ci sono anch’io, in questa schiera di sfruttati e mobizzati (si scrive così?) .Anche se, devo dire, non mi spacco la schiena o rischio tutti i giorni la vita, come è per un portuale.A proposito, un mio parente, svariati anni fa, era capitano di piccolo cabotaggio e in più di una circostanza ,ha rischiato la vita: per esempio, il cavo di traino che si spezza e gli passa a pochissimi centimetri di distanza, mentre stava portando (rimorchiando) una nave fuori dal porto de Zena…(O me pa’ l’eia de Zena;scusatemi la nostalgia) Cionondimeno, sento in me questa pesantissima problematica che riguarda tutti coloro che sono ‘ dipendenti di qualcun altro’. Duemila anni fa, l’ Impero Romano, degli schiavi, ne faceva quello che voleva: più o meno come fossero macchine,oppure oggetti . Oggi, in chiave diversa, mi pare che le cose siano cambiate di poco e, dopo tutto, cosa volete che siano, 2000 anni , di distorto cristianesimo? Dico distorto in quanto la Chiesa , per un bel pezzo , non è stata che l’ incarnazione stessa del concetto di Potere. Oggi, pare diversa eppure, sotto sotto, tiene le redini di non poche situazioni mondiali. Altro, che spiritualità, religiosità, solidarietà: belle parole, adatte soprattutto per una predica durante la S.Messa domenicale o comunque, festiva. Ma poi, rimane il vuoto.
    Quel vuoto nel quale tutti ci dibattiamo , per non soccombere.
    Ricordatevi una cosa: i primi nemici dell’Italia, sono dentro il nostro territorio nazionale: politicanti, industriali, criminalità organizzata (da chi???) etc… Sono questi , che dobbiamo bloccare .Altrimenti , siamo fritti. Basta, con le buone maniere! Tanto si riceve, altrettanto si rida’ !!

    Caspita, a rileggerla , in certi punti , mi sembra quasi un proclama!
    Devo stare attento, a quello che scrivo:Siamo in democrazia, non si sa mai!!! Quà , prima ti fanno dire quello che vuoi, poi ti fregano!
    Almeno, in Cina, ce lo sai , che se parli, crepi…
    Ciao a tutti i lavoratori che vengono su questo sito.

    Spartacus

  2. Ciao Spatacus ho letto quanto hai scritto,beh aggingi pure il mio nome alla schiera di sfigati che si rompono il culo per lavorare ed essere sfruttati,anche se nel mio caso forse non sono poi cosi’ sfruttato grazie al sindacato interno dell’azienda per la quale lavoro.Ascolto spesso trasmissioni che parlano di lavoro,precarietà,sicurezza ecc. ma puntualmente mi prende una depressione tale che vorrei suicidarmi nel vedere quell’accozzaglia di politi di una e dell’altra parte che si punzecchiano e si contradicono continuamente.Cosi’ non nè usciremo mai,e chi ci rimette saremo sempre noi lavoratori dipendenti,poveri martiri che prendono uno stipendio di m…a,prendono la bustapaga già tassata quindi neanche la scelta di essere evasori fiscali 😉 e ciliegina sulla torta non avremo neanche uno straccio di pensione in vecchiaia,e già,perchè pur destinando all’inps o altri fondi il nostro tfr e integrandolo facendoci togliere altri soldini dal nostro già misero stipendio,comunque non basterà per garantirci una vecchiaia dignitosa.Ma quindi soluzione dove sta?Leggo su alcuni siti e sento in tv molti giovani che lamentano tutto questo,ma lo scendere in piazza e far casino,tipo bloccare autostrade,servizi pubblici ecc. per protestare contro lo scippo del nostro futuro dove sta?!!!!
    Tutto questo per dire che dobbiamo farla finita di lanciare le malidizioni ai nostri politici,tanto loro ne sono immuni,ma ci dobbiamo rimboccare le maniche e fare un bel casino noi ribellandoci….
    Perdona lo sfogo buona giornata e buon lavoro.

I commenti sono chiusi.